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Public Policy

Problema numero 1

Mossa anti debito

Usare il patrimonio pubblico per abbassare debito monstre

di Enrico Cisnetto - 17 maggio 2019

Bisogna distinguere il contingente (lo spread) dallo strutturale (il debito). Perché il differenziale che si avvicina a quota 300 punti base (venerdì è fortunatamente sceso, chiudendo a 278) è un rischio autoinflitto frutto di improvvide dichiarazioni governative, sommate ad una politica economica tutta in deficit, assistenzialista e senza alcuna reale attenzione alla crescita, fatta da un governo percepito come traballante e nello stesso tempo immobile. Ma certo il rifinanziamento del nostro debito pubblico monstre è un problema che ci portiamo avanti da troppo tempo, tanto che proprio per debito eccessivo potremmo finire sotto procedura di infrazione europea, per non considerarlo il vero problema nazionale. Lo spread è solo una spia accesa che lo segnala.

Allora, non appena questa ennesima tempesta sarà passata (speriamo) e le elezioni europee saranno alle spalle, chiunque sia l’interprete della politica italiana avrà davanti il compito indifferibile di ridurre questo fardello. Purtroppo, nei primi anni dell’euro, abbiamo buttato alle ortiche una irripetibile occasione. Grazie a tassi di interesse bassi e all’economia in crescita, il rapporto debito-pil era arrivato nel 2007 sotto il 100% della ricchezza nonostante che l’avanzo primario fosse sceso dal 6% del pil del 1998 allo zero del 2004. Purtroppo, arrivata la crisi mondiale del 2008, il debito è tornato a salire e, soprattutto, il pil a scendere, tanto che da allora a oggi l’aumento è stato del 76%, facendoci accumulare 2.358 miliardi di debito, pari al 133% del pil. Quasi 40 mila euro a testa per ogni italiano, neonati compresi.

Il punto è che questo macigno – il terzo al mondo in rapporto al pil – ci rende vulnerabili “di default”, non perché, come gli stolti dicono, ci siano gli gnomi cattivi dei mercati, ma perchè ogni anno siamo costretti a reperire più di 400 miliardi per rifinanziarlo – con una spesa per interessi pari a circa il 5% del pil nonostante i tassi a zero – e se il rischio paese aumenta, altrettanto cresce la fatica nel collocare i nuovi titoli. Non è un caso, dunque, che ultimamente sia aumentata la quota di debito in mano italiana, pur essendo intervenuta massicciamente la Bce. Ciò significa che i grandi investitori istituzionali, tipo i fondi pensione, hanno scelto di mettere altrove i soldi che gestiscono, lasciando il campo solo agli operatori più speculativi.

Cosa fare? La cura, come sostengo ormai da anni, è una sola: un intervento straordinario sul debito, attraverso l’utilizzo del patrimonio immobiliare e mobiliare pubblico. Idea rilanciata, ora, anche dall’amministratore delegato di Banca Intesa, Carlo Messina. Le modalità possono essere molteplici, ma credo che la migliore sia quella di conferire immobili e titoli (almeno 400 miliardi) ad un veicolo societario ad hoc – una public company con lo Stato azionista di controllo – che possa emettere obbligazioni (magari con warrant per trasformarle in azioni) garantite proprio da quegli asset. Inoltre gli immobili andranno valorizzati e gradualmente ceduti. Così facendo, in un tempo relativamente breve – e comunque indicabile al mercato, attraverso un’apposita road map – si potrebbero recuperare risorse tali da poter almeno tagliare la parte del debito eccedente il 100% del pil. E risolvere il problema dei problemi, che la congiuntura politica non fa che aggravare. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.