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Il paradosso del lavoro

Lavorare meglio

Lavorare meno per lavorare tutti? La vera rivoluzione è lavorare meglio

di Enrico Cisnetto - 21 aprile 2019

Prima di lavorare “meno” è necessario iniziare a lavorare “meglio”, usando l’innovazione che l’evoluzione tecnologica offre. L’idea del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, di ridurre le ore lavorative a parità di stipendio potrebbe aver senso solo come provocazione utile a riaprire il dibattitto su un tema, quello dell’organizzazione del lavoro e delle sue regole, in cui in Italia siamo ancora indietro, altrimenti in sé ignora la realtà delle cose.

Prima di tutto, lo slogan “lavorare meno, lavorare tutti”, nato nel secolo scorso sulle fondamenta di quell’organizzazione fordista del lavoro oggi in via di superamento, evoca una soluzione meccanicistica oggi ancor più anacronistica di ieri. Lo dimostra il fallimento dell’esperienza francese di riduzione della settimana lavorativa a 35 ore. Inoltre, con l’economia sul filo della recessione, essa finirebbe con accentuare la tendenza delle imprese al disinvestimento. Quanto ai lavoratori, escludendo di poter mantenere la parità di salario al minor numero di ore lavorate, si ritroverebbero una busta paga ancor più ridotta di quanto già non sia per effetto del maledetto cuneo fiscale che la rende, a danno dei consumi, insopportabilmente bassa. Oltretutto, una riduzione generalizzata dei tempi di lavoro finirebbe per spingere una crescita del lavoro nero, già fin troppo diffuso. E non è vero che la riduzione dell’orario rilancerebbe l’occupazione, perché le aziende finirebbero con l’usare turni più brevi per ristrutturarsi, visto che sono già penalizzate da livelli di produttività bassi e che, soprattutto, vivono una fase di transizione verso organizzazione e metodi di lavoro più adeguati alle regole dell’economia digitale. Cioè cicli produttivi più flessibili, più specializzati e assai meno standardizzati. Tanto che il lavoro autonomo, agile, a distanza, smart o come volete chiamarlo, è sempre più la normalità.

Insomma, il nostro sistema produttivo, che soffre di una produttività stagnante da più di due decenni, con una media annua di crescita che è meno di un quinto di quella dell’Ue (+0,3% a fronte di +1,6%) tanto che l’Ocse ci definisce “maglia nera” tra i paesi sviluppati, ha bisogno di ben altro. Per esempio, copiare i tedeschi: 300mila lavoratori del metallurgico, del tessile, del chimico e dell’automotive hanno ottenuto un aumento salariale del 4,3% e la possibilità di passare da 35 a 28 ore settimanali, ma solo successivamente a grandi aumenti di produttività, basati sull’innovazione prodotta dal know-how tecnologico. Tanto che su un punto le imprese tedesche sono state rigide: il rifiuto del part-time per i lavoratori specializzati, quindi preziosi e non facilmente rimpiazzabili.

Ecco, come ha spiegato il segretario della Fim-Cisl Marco Bentivogli a Roma InConTra nel presentare il suo libro “Contrordine compagni”, i lavoratori in smart working hanno il doppio della produttività e ottengono i risultati in metà del tempo. E questo migliora anche la conciliazione vita-lavoro. Purtroppo, in Italia imprese e sindacati hanno ancora una mentalità fordista che vuole tutti in azienda, fisicamente e allo stesso orario. Così che si intasano le strade e le città, si crea stress e inquinamento. Invece, sarebbe più utile puntare sul lavoro flessibile. Che richiede di rimuovere la paura della tecnologia, la quale il lavoro lo crea, non lo distrugge. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.