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Demografia e lavoro

La vecchia Italia

Sempre più vecchi e con sempre meno nascite. Pensioni e occupazione ne risentono

di Enrico Cisnetto - 02 dicembre 2018

Siamo il secondo paese più vecchio al mondo, e le culle sono sempre più vuote. Tanto che non solo ci sono più giovani che anziani, ma addirittura più ottantenni che neonati. E nonostante questo, ci intestardiamo a voler anticipare l’uscita dei lavoratori dal mercato del lavoro attraverso la famigerata “quota 100”, scelta che è in evidente contrasto con l’evoluzione demografica. Non si può cioè far spallucce di fronte ad calo delle nascite di carattere “strutturale” (cit. Istat), cioè non più legato alla crisi economica. Nel 2017 sono nati 458.151 bambini, mentre l’anno prima erano stati più di 473 mila. Un calo di 15 mila unità che alimenta l’emorragia in corso da anni, complice il costante calo della fertilità, per cui rispetto al 2014 ci sono 45 mila “lieti eventi” in meno, che diventano quasi 120 mila in meno del 2008. A questo, poi, bisogna aggiungere che per la prima volta calano anche i primogeniti, scesi a quota 214.267 (-25% in dieci anni). E così, primo e unico caso in Europa, gli ottuagenari (482 mila) superano i neonati. Solo per fare un esempio, nel Regno Unito e in Svezia il rapporto è di due nuovi nati per ogni ottantenne.

Insomma, in un Paese già molto longevo, questo calo demografico “strutturale” rende e renderà sempre più sbilanciato il rapporto tra forza lavoro e anziani. Una spirale negativa che trascina verso il basso crescita e benessere futuro. Anche perché, prima diminuiscono le donne in età riproduttiva (tra 2008 e 2017 quelle comprese tra 15 e 49 anni registrano un saldo negativo di 900 mila unità), poi il numero medio di figli per ciascuna di esse (si è passati dal 2,1 del 1945 all’1,32 attuale), con la conseguenza che in futuro saranno ancora di meno quelle in grado invertire il trend.

Che fare? Se si vuole fermare questa tendenza è necessaria una risposta altrettanto strutturale. Innanzitutto sulle scelte pensionistiche. Ora il governo sembra propendere verso una durata della “quota 100” solo triennale, e per di più decurtando l’assegno pensionistico (dal 3% fino al 22%), mentre Ape sociale e “opzione donna” dovrebbero essere prorogati solo di un anno e non di tre. Una contro-controriforma, quindi, meno pesante di quanto inizialmente annunciato. Tuttavia, di fronte all’allungamento della vita e all’invecchiamento della popolazione, la soluzione non è tornare alle regole di anni fa, ma costruire un sistema diverso, ragionando sul lungo termine, incoraggiando forme di previdenza integrativa, rendendo più flessibile l’età pensionistica e aiutando le casse previdenziali a sostenere il rapporto tra contributi ed erogazioni. Inoltre bisogna tenere conto dell’apporto degli immigrati, mediamente più giovani e attivi e dunque più propensi a fare figli (il calo delle nascite riguarda soprattutto le coppie italiane). Tanto che per l’Inps la differenza tra i contributi versati e le prestazioni erogate è positivo per 36,5 miliardi. Infine, per sostenere le nascite bisogna aiutare le giovani donne. Non con dei bonus, ma con politiche che permettano di affidare i figli agli asili nido e ai servizi sociali, così da consentirgli di lavorare in condizioni di parità con gli uomini.

Forse è esagerato dire che si è ufficialmente anziani dai 75 anni in su, come hanno fatto i geriatri e i gerontologi italiani, ma certo il paradigma dell’età è cambiato. E bisogna adeguarsi. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.