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Politica e Giustizia

Prescrizione: 8 domande al ministro Bonafede

TerzaRepubblica condivide la lettera aperta della Fondazione Einaudi al Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, sul tema della prescrizione

08 novembre 2018

Roma, 8 novembre 2018

Egregio Signor Ministro,

abbiamo letto la Sua proposta relativa alla prescrizione. Non intendiamo entrare nella partita politica, piuttosto rivolgerLe alcune domande. Le Sue risposte, ne siamo sicuri, aiuteranno noi e ciascun cittadino a maturare un’opinione informata e non deformata dalla faziosità politica.

L’articolo 111 della Costituzione, riprendendo il dettato dell’articolo 6 della Convenzione Europea Diritti dell’Uomo, sancisce, a proposito del processo, che “La legge ne assicura la ragionevole durata”. Cancellando la prescrizione dopo il primo grado, anche in caso di sentenza assolutoria, quindi venendo meno ogni limite temporale, in quale altra legge Lei vede la garanzia che la Costituzione prevede?
Il vincolo costituzionale, purtroppo, non produce, da sé solo, processi in tempi ragionevoli, tanto che l’Italia assomma numerose condanne per tale ragione, chiamata in giudizio da suoi cittadini, innanzi alla Corte Europea Diritti dell’Uomo. Quale effetto crede possa fare, in quella e in altre sedi internazionali, la notizia che l’Italia cancella il solo limite esistente alla durata, sebbene non ragionevole, dei procedimenti?
Anche ammesso che quanto sopra sia superabile o irrilevante, Lei ritiene accettabile che un cittadino possa essere sottoposto a processo senza limiti di tempo? Quel limite esiste ovunque, nel mondo civile, perché cittadino e Stato non hanno eguale potere. L’accusa non costa all’accusatore, la difesa costa all’imputato. L’accusa non ha carichi pendenti, l’accusato sì. L’accusa svolge quel ruolo per mestiere, l’imputato resta tale, fino alla fine del procedimento, per familiari, amici, colleghi, concorrenti. Il limite della pretesa punitiva non è una concessione buonista o lassista, ma un principio antico, noto al diritto romano, teso a evitare che il processo sia la pena stessa, per giunta a vita.
Certo, la prescrizione è anche una resa. L’imputato innocente ha diritto a essere assolto. La collettività ha diritto a che il colpevole sia condannato. Ma per evitare la resa non crede che si debba far funzionare la giustizia, anziché rassegnarsi all’ingiustizia?
Ad oggi all’incirca l’80% dei procedimenti penali si estingue per prescrizione prima ancora di arrivare alla sentenza di primo grado. La Sua proposta, pertanto, riguarderebbe solo il 20% dei casi. Non sarebbe più utile interrogarsi sulle ragioni di tale massiccia moria processuale? Magari ponendo attenzione al rispetto dei termini processuali (perentori per le difese e ordinatori, quindi aggirabili, per Procure e Tribunali)?
C’è il problema di coloro i quali hanno subito un reato o le sue conseguenze. Le vittime. Hanno diritto ad avere giustizia. Ma in che tempi? Ha senso chiamare giustizia, per loro, quella che arriva dopo lustri? L’attenzione ai loro diritti non suggerirebbe di ripensare la procedura e i suoi tempi, piuttosto che cancellarne il termine ultimo?
Dal punto di vista economico all’estero si ha qualche dubbio sull’affidabilità del mercato italiano, non per la sua capacità innovativa e produttiva, ma per un troppo lento, incerto quindi dubbio rispetto delle regole e dell’eventuale sanzione della loro violazione. Che effetto crede possa avere apprendere che, da un certo momento in poi, in Italia si potrà perseguire un imputato anche venti anni dopo? Un incentivo a investire da noi o a tenersi lontani, per quanto ammirati dalle sue bellezze?
Lei ha sostenuto che tolta di mezzo la prescrizione la difesa dell’imputato non avrà più alcun motivo di tirare in lungo il procedimento. Argomento suggestivo, ma, come abbiamo fatto osservare, la grandissima parte delle prescrizioni si verifica nella fase in cui la difesa non ha alcun ruolo. I tempi processuali sono dettati dai giudici. Non le sembra che far passare per “cavillo” l’esercizio della difesa, tesa non all’accertamento della verità processuale, ma all’impunità del colpevole (chi lo ha stabilito, che è colpevole?), sia la strada maestra che porta al discredito del diritto e, quindi, della giustizia tutta?

La ringraziamo, Signor Ministro, per l’attenzione che vorrà dedicare a questi quesiti. Certo non esauriscono il tema della giustizia, che oggi ricade fra le Sue cure, trovandosi Ella a capo del Ministero cui spetta, secondo la Costituzione, “l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia” (articolo 110 Cost.).

 

1. Giuseppe Benedetto, avvocato, Presidente Fondazione Luigi Einaudi

2. Giorgio Calabrese, medico, Presidente CNSA del Min. della Salute

3. Carlo Alberto Carnevale Maffè, Associate Professor of Practice of Strategy – SDA Bocconi, Milano

4. Enrico Cisnetto, editorialista, economista

5. Dino Cofrancesco, professore emerito Storia dottrine politiche dell’Università di Genova

6. Alessandro De Nicola, avvocato, docente universitario, Presidente ‘The Adam Smith Society’

7. Arturo Diaconale, giornalista, Direttore quotidiano L’Opinione

8. Davide Giacalone, giornalista e scrittore, Vicepresidente Fondazione Einaudi

9. Corrado Ocone, filosofo, Direttore scientifico Fondazione Einaudi

10. Carlo Nordio, ex magistrato, già procuratore aggiunto di Venezia

11. Enzo Palumbo, avvocato, già Senatore e membro del CSM

12. Bartolomeo Romano, professore ordinario Diritto Penale – Univ. di Palermo

13. Federico Tedeschini, avvocato e docente di istituzioni di diritto pubblico – Università La Sapienza, Roma

14. Rocco Todero, avvocato, esperto diritto pubblico amministrativo

15. Piero Tony, ex magistrato, già sostituto procuratore generale di Firenze, Presidente Dip. Giustizia Fondazione Einaudi

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.