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Le nomine nei ministeri

Dove vai se l'apparato non lo hai

Ci sono gli slogan, i media, le bandierine, ma anche le nomine che cambiano tutto

di Massimo Pittarello - 14 giugno 2018

Ci sono nomine che non finiscono sui giornali, non vanno in trend topic su Twitter, a volte non rientrano nemmeno nella logica del Cencelli, perché non si contano nell’algebra delle spartizioni tra i partiti, ma si pesano nell’equilibro tra il politico nuovo arrivato e la vecchia amministrazione burocratica. E dicono molto di come ciascuno dei membri del nuovo Governo si stia attrezzando per governare.

Dopo la partita su ministri, vice e sottosegretari, infatti, c’è quella decisiva per capi di gabinetto, uffici legislativi, segreterie tecniche e dipartimenti. Cioè quella per i posti chiave, operativi, tecnici ma nemmeno troppo, quelli dalle cui scrivanie passano tutti i dossier. Perché ci sono gli slogan, i media, le bandierine da piazzare, ma poi senza apparato non si governa.

Tutti i rumors sulle candidature ancora in bilico li ha tirati fuori Public Policy. Ma, intanto, dai nomi ufficializzati già si capisce che, con la scelta di Matteo Piantedosi come capo di gabinetto, Matteo Salvini avrà il Viminale dalla sua parte.

Una scelta spiazzante perché, chi ha conosciuto l’ex prefetto nei tanti anni nella (fu) rossa città dei portici lo descrive più come progressista che come “uomo d’ordine”, nonostante il suo riserbo istituzionale. Al Viminale, poi, era già approdato con Giuliano Amato e poi con Annamaria Cancellieri. Non proprio due omologhi di Salvini.

Ora, è vero che il neo ministro dell’Interno ha apprezzato Piantedosi per come ha gestito le sue complicate visite a Bologna. Ma non può essere sufficiente. Dirigenti del Viminale e funzionari delle questure, infatti, sono convinti che Salvini abbia voluto lanciare un segnale di collaborazione, un messaggio di consapevolezza, un’apertura con cui dire “sono con voi, ho bisogno di voi”.

Allo stesso modo, il ritorno di Vito Cozzoli come capo di gabinetto al Mise è una garanzia per come dovranno essere affrontati temi caldi, se non ustionanti, come vertenze sindacali, crisi aziendali, energia, internazionalizzazione e tanto altro. Si tratta di uno che conosce un ministero delicato, vecchia scuola, a cui potrà essere affiancata una figura di “cambiamento” come Daniel De Vito, già redattore in quota grillina del contratto di programma.

C’è poi il nodo del Mef, sui cui si è rischiato che morisse una legislatura nata storta. E la conferma di Roberto Garofoli a capo di gabinetto è una garanzia. Come potrebbe esserlo la nomina a direttore generale di Fabrizio Pagani. Uno che conosce bene via XX Settembre e che gioca partite tutte sue: un po’ come dovrà fare Giovanni Tria.

Al ministero dell’Ambiente, sarà Pier Luigi Petrillo il braccio operativo di Sergio Costa, che potrebbe aver fatto una mossa tipica di un generale dei Carabinieri. Ha scelto infatti una persona – Petrillo – che coniuga il rigore dell’accademia con l’operatività del funzionario. E che non disdegna i convegni e un po’ di socialità romana.

Molte altre nomine sono in ballo, ma a consuntivo può tornare utile la cartina di tornasole di Palazzo Chigi. Da una parte Rocco Casalino, che ha già preso possesso del suo ufficio (“troppo piccolo – dice – oltretutto senza un appartamento”). Dall’altra (oltre a Claudio Tucciarelli probabile capo del legislativo) c’è la partita aperta tra Paolo Visca, Giuseppe Busia e, soprattutto, Pietro Dettori. (“Fortunato where are thou?”)

I primi due sono funzionari d’apparato di lunga esperienza. L’ultimo, invece, è l’uomo della piattaforma Rousseau, quello che viene da fuori. Ora, al di là delle opinioni sulle competenze, le abilità, le attitudini professionali, è chiaro che in queste occasioni ricorrere ad un Papa straniero è sempre un rischio.

Solo per avere un esempio, Berlusconi ha regnato a lungo a Palazzo Chigi, ma chi governava era Gianni LettaRenzi, poi, alla testa della macchina governativa ha voluto a tutti i costi il capo dei vigili urbani di Firenze, Antonella Manzione. E diciamo che troppo bene non è andata, visto che “l’erede” – per dirla con l’Elefantino – era partito bullo, ma è finito bullizzato.

Vedremo se i grillini faranno diversamente, anche da Virginia Raggi. Intanto molti leghisti sembra stiano dando retta al nuovo Rasputin di Palazzo Chigi, Giancarlo Giorgetti, quando ha detto di tenere una foto di Renzi sulla scrivania, “che stava al 40% e due anni dopo è crollato”. Memento, insomma, che nemmeno la burocrazia non si scorda mai nulla. 

 

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