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  • 20180204 - Stipendi tedeschi più alti per il bene dell'Europ

Europa e lavoro

Stipendi tedeschi più alti

La Germania dia l'esempio aumentando i salari

di Enrico Cisnetto - 04 febbraio 2018

Se aumentano gli stipendi degli operai tedeschi diventiamo tutti più ricchi. E l’Europa meno squilibrata. E più unita. Se poi l’Italia (in)segue quel modello di relazioni industriali, può recuperare produttività e aumentare l’occupazione. Come non accadeva da 15 anni, la settimana in Germania si è chiusa con tre giorni di ‘Warnstreik’, uno “sciopero di avvertimento” di 300 mila lavoratori del metallurgico, del tessile, del chimico e dell’automotive indetto da Ig Metall, il sindacato che conta 2,3 milioni di iscritti sui 3,9 milioni di lavoratori di quei comparti. Chiedono un aumento del 6% degli stipendi e la possibilità di passare da 35 a 28 ore settimanali per chi si prende cura di minori o disabili, con compensazione salariale solo parziale. Sul primo punto gli industriali offrono, per ora, un aumento del 2%. Ma quel che più conta è che le aziende rifiutano di mettere in part-time i lavoratori specializzati, e quindi preziosi e non facilmente rimpiazzabili. Di fronte ai bassi salari italiani, alla produttività stagnante (da 15 anni), al basso tasso di occupazione e anche alla mancanza di personale idoneo rispetto alle richieste del mercato, questa “vertenza” tedesca appare lunare, e ci dice quanto terreno ci sia da recuperare, puntando su formazione, innovazione, specializzazione, know-how. E non sul taglio dei costi, sulla competizione al ribasso sui salari, o sulla bassa qualità dei prodotti.

Ma il “risveglio” del sindacato teutonico è soprattutto una novità che, nel contesto europeo (e italiano, in partiolare) può contrastare la concorrenza tedesca sui salari, abbattere l’eccessivo avanzo commerciale e ristabilire a Berlino una politica economica più equilibrata. Ora, in Germania la disoccupazione nell’ultimo mese è scesa ulteriormente di un altro decimale, passando dal 5,5% di dicembre al 5,4% di gennaio. Ossia 207 mila occupati in più e 25 mila disoccupati in meno. Ma queste statistiche, oltre a essere drogate da 7 milioni di mini-jobs (piccoli lavori a tempo parziale) non tengono conto che i lavoratori tedeschi non ricevono aumenti di stipendio da 15 anni, nonostante la crescita economica (al netto della fase recessiva) e aumenti di produttività superiori perfino a quelli Usa. A cui bisogna aggiungere il crollo degli investimenti pubblici. In questo modo la Germania tiene anemico il mercato interno e spinge le sue esportazioni ben oltre il fisiologico, tanto da registrare un avanzo commerciale da anni ben oltre il limite del 6,5% previsto dalle regole europee e migliore anche di quello cinese. In questo modo, però, zavorra tutta l’Europa, perché i tedeschi continuano ad accumulare crediti e un avanzo nel bilancio dello Stato, mentre gli altri fanno debiti e vanno in disavanzo. Non è vietato fare surplus, ma sarebbe bene che venisse redistribuito (in stipendi e investimenti).

Tra l’altro, sia Draghi che Visco (e non i sindacati) avevano già individuato nell’aumento delle retribuzioni uno strumento per riportare l’inflazione ad un livello fisiologico (il che aiuterebbe anche la sostenibilità del nostro debito pubblico). Senza dimenticare che se gli operai tedeschi hanno più soldi, possono spenderli anche comprando beni francesi, spagnoli e, perché no, italiani. Insomma, un aumento della domanda interna tedesca sarebbe utile a tutta l’Europa. E questa vertenza può essere una svolta. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.