Risparmio e sviluppo
Per crescere bisogna rendere produttivo il grande patrimonio degli italiani
di Enrico Cisnetto - 05 novembre 2017
La Repubblica “incoraggia e tutela il risparmio”, dice la Costituzione, ma non come monade isolata, quanto piuttosto come risorsa prodromica allo sviluppo economico. Una connessione che in Italia spesso è saltata, perché siamo uno dei popoli con più risparmio accumulato, ma con i più anemici tassi di crescita e dinamismo. Anche se oggi qualcosa sembra cambiare. O almeno ne avremmo l’occasione. Salta agli occhi, infatti, che il tasso di risparmio degli italiani sia passato dal 19% degli anni Novanta all’8,6% del 2016. Un dimezzamento secco, che però deve essere contestualizzato. Anche se si accumula di meno, infatti, rispetto allo scorso anno è comunque scesa dal 19% al 16% la quota di coloro che intaccano il proprio gruzzolo. Inoltre, si risparmia meno che in passato sia perché in questi anni di crisi è notevolmente diminuito il reddito, sia perché tali risorse sono state utilizzate per compensare il netto calo dei consumi. Purtroppo solo parzialmente, tanto che la quota di poveri è cresciuta fino a raggiungere 4,7 milioni di persone, come ha sottolineato il presidente Acri, Giovanni Guzzetti, durante l’ultima Giornata Mondiale del Risparmio. Insomma, la coperta è corta perché l’economia non gira come dovrebbe e la scelta diventa alternativa: o meno consumi o meno risparmio. Invece, la via dovrebbe essere quella di poter rendere “produttivo” l’immenso patrimonio degli italiani, perché se le risorse accumulate non si traducono in tempi brevi in investimenti si apre la strada ad un’involuzione negativa, o al massimo all’utilizzo in “spesa corrente”.
Se il pil pro-capite, in Italia, oltre ad essere stagnante, è inferiore di 10 punti rispetto alla media europea e addirittura di 43 in confronto agli Stati Uniti, il patrimonio privato degli italiani, quantificato da Bankitalia in 9500 miliardi, è pari a 9 volte il reddito disponibile, mentre la Germania si ferma a 6,3 e gli Usa a 4,8. Questa grande ricchezza privata ha contribuito a controbilanciare il nostro enorme debito pubblico. Ma l’immenso patrimonio degli italiani, proporzionalmente il più elevato dell’Occidente, è anche il meno capace di sostenere lo sviluppo e costruire il futuro, perché utilizzato quasi esclusivamente in modo difensivo. Non a caso l’86% degli italiani è propenso al risparmio, mentre due su tre sono ostili agli investimenti E se anche è cresciuto il ricorso ai prestiti, le passività finanziarie sono pari al 62% del reddito, mentre si arriva al 100% nell’eurozona. Ciò spiega perchè l’aumento della ricchezza sia dovuto più al risparmio (60%) che alla generazione di valore (40%).
Grazie all’immenso sviluppo del settore finanziario, ai bassi tassi di interesse, alle dinamiche demografiche, la spiccata tendenza ad accumulare degli italiani si sta allineando a livelli più europei. Bisogna dunque che questa ricchezza non vada dissipata e che, anzi, possa essere benzina nel motore dell’economia, perché abbiamo un problema di produttività del capitale. Per trasformare e canalizzare il tesoro degli italiani in attività produttive diversi strumenti sono già attivi, come il credito di imposta (per casse previdenziali, fondi previdenziali e fondazioni bancarie), i PIR (Piani Individuali di Risparmio) e il PVI (prestito vitalizio ipotecario). Altri sono in via di approvazione, ma molti altri si potrebbero e dovrebbero lanciare. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
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