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Le scelte della Bce

La frenata di Mario Draghi

Attenzione al nuovo rischio-bolla, troppi derivati in circolazione

di Enrico Cisnetto - 29 ottobre 2017

Mario Draghi sta provando a sgonfiarla, ma il rischio che una nuova bolla possa esplodere c’è. Con una strategia “lower for longer”, la Bce ha stabilito che dal prossimo gennaio l’ammontare degli acquisti dei titoli di Stato passeranno da 60 a 30 miliardi al mese, ma continueranno almeno fino a settembre 2018. E il rialzo dei tassi verrà posticipato “ben oltre” tale termine. Così il Presidente dell’Eurotower ha provato a non ripetere l’errore commesso da Ben Bernake nell’aprile 2013, quando soltanto un suo timido accenno alla possibilità di normalizzare la politica monetaria della Fed, allora ultraespansiva, provocò una pericolosa agitazione dei mercati. Ma, nonostante Draghi, il pericolo di un nuovo crack stile 2008 continua a incombere sul nostro futuro.

Dopo tre anni di quantitative easing, la Bce ha comprato titoli per più di 2mila miliardi, diventando lo scoglio frangiflutti contro le onde delle tempeste finanziarie. Tuttavia, anche l’eccesso di liquidità nel lungo periodo può diventare pericoloso, soprattutto se si guarda l’oceano di derivati che c’è in circolazione. Non a caso l’Esma, l’autorità europea che monitora i mercati finanziari, ha lanciato l’allarme: solo all’interno dell’Unione europea ne circolano per un valore pari a 453 mila miliardi. Il nostro debito pubblico, tanto per fare un paragone, è appena lo 0,4% di questa montagna di titoli di “carta”. Una massa enorme, incontrollabile e volatile, di cui, oltretutto, il 94% risulta negoziato in mercati non regolamentati. E se una volta questi strumenti erano una sorta di “copertura” assicurativa su altri beni (azioni, valute, ecc), oggi sono sempre di più un mero strumento ultra-speculativo. Tra l’altro, secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali nel mondo si arriva a circa 710 trilioni di dollari, oltre 9 volte l’ammontare del pil planetario, di cui circa 300 allocati nelle prime cinque banche americane (quelle “too big to fail”). Se si pensa che nel 2007, prima dello scoppio della bolla dei mutui subprime Usa e la conseguente crisi finanziaria mondiale, l’ammontare di questo tipo di strumenti era di 530 trilioni di dollari (il 25% in meno di oggi), è evidente il rischio di una nuova bufera finanziaria epocale.

La nomina del prossimo governatore della Fed arriverà nei prossimi giorni, e da lì si capiranno le scelte degli Stati Uniti su tassi di interessi e acquisti di titoli. Che ovviamente avranno ripercussioni sul resto del mondo. Intanto, però, dall’elezione di Trump in poi Wall Street ha guadagnato il 25%, e anche in Europa le Borse hanno registrato buone performance. Ma c’è sempre il problema del rapporto tra finanza con l’economia reale, che non è né scontato, né automatico. Anzi, se i crack dei listini influiscono negativamente direttamente sul pil, non è quasi mai vero l’inverso.

Intanto, sappiamo che il dimezzamento degli acquisti di titoli da parte della Bce potrebbe produrre un rialzo dello spread, e conseguentemente degli interessi che paghiamo sul nostro debito (aumentato di 138 miliardi dall’inizio del QE ad oggi), fino a circa 25 miliardi in tre anni. Così, mentre in Europa la crescita si consolida, per la “ripresa” italiana si aggiunge un altro fattore di rischio: l’instabilità finanziaria mondiale, e la recessione che ne seguirebbe, che l’eventuale esplosione della nuova “bolla” potrebbe generare. Tocchiamo ferro. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.