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Economia pre voto

Mannaggia al pil

La crescita non è strutturale serve la spinta agli investimenti

di Enrico Cisnetto - 20 agosto 2017

Mannaggia al pil. Può sembrare blasfemo, dopo aver tanto invocato la ripresa, che ora, di fronte alla concreta possibilità che il 2017 si chiuda con una crescita dell’1,5% (contro lo 0,7% di partenza e l’1,1% previsto dal Governo), si imprechi contro il miglioramento dell’economia. Ma un motivo, serio, c’è. Perché gli ultimi dati congiunturali hanno già indotto molti, in vista dell’ormai prossima manovra di bilancio, a fare calcoli sul “tesoretto” che si starebbe creando: 3,5 miliardi per chi sa fare di conto, di più o addirittura molto i più per gli asini. Il tutto senza badare al fatto che lo scarto attualmente in essere tra l’inflazione programmata e quella reale, incidendo sul pil nominale, potrebbe mangiarsi una parte consistente del margine, e che la restante parte potrebbe essere cancellata da Bruxelles nel solito braccio di ferro sulla quantificazione dello scarto tra pil reale e pil potenziale. Ma ciò che più preoccupa è che il sistema politico – abituato a ragionare su dove mettere le risorse (soprattutto quelle che non ci sono), anziché dire dove prenderle – faccia conto sul tesoretto in vista delle elezioni, e dunque sia tentato di mettere in piedi una Finanziaria allegra. Avete forse sentito qualcuno che ragioni sul fatto che ogni anno si gettano alle ortiche 40-50 miliardi di cattiva spesa corrente, mentre dal lato delle entrare mancano 100-120 miliardi per l’evasione fiscale cronica, figlia di un sistema tributario e di una politica fiscale pessimi?

Invece, sento esultare perché la manovra sarebbe ridotta a una quindicina, forse una dozzina, di miliardi. Sono gli stessi che scambiano per strutturale una ripresa che, al contrario, è solo congiunturale, quasi esclusivamente dovuta alla politica monetaria espansiva della Bce – e dunque destinata a venir meno quando questa dovesse, come è assai probabile, cambiare verso – e comunque lontana da farci recuperare sia il gap con gli altri paesi europei sia quello con noi stessi rispetto alla fase pre-crisi mondiale (rispetto al 2007 mancano ancora oltre sei punti e mezzo di pil). Peccato, però, che per avere efficacia le manovre di politica economica devono essere almeno di 3 punti di pil, e dunque, tesoretto o meno, occorrerebbe ben altro respiro.

In questa sede abbiamo già espresso l’idea che, pur misurando tutti i contro che pure ci sono, sarebbe utile lasciar scattare l’aumento dell’Iva (pari a 15 miliardi) previsto dalle clausole di salvaguardie Ue. Un atto di coraggio che sarebbe ripagato dal fatto che, oltre a non aprire il solito penoso contenzioso con la Ue – le cui regole vanno cambiate, non disattese – creerebbe spazi per una decente manovra basata sugli investimenti, la vera cosa di cui la nostra economia ha bisogno visto che tra il 2009 e il 2016 sono scesi dal 3,4% al 2,1% del pil.

L’ultima manovra di questa incompiuta legislatura, condizionata da fragili equilibri politici, rischia di essere l’ennesima occasione perduta se non si prende atto che le misure a sostegno della domanda non hanno funzionato, visto che i consumi interni sono cresciuti di soli 8 decimali in 4 anni (dal 59,9% al 60,3% del pil), mentre quelli delle famiglie sono ancora il 5% in meno del 2008. Basta bonus, dunque. E anche il taglio del cuneo per i neo-assunti, di cui si parla, senza gli investimenti finirebbe per essere un mero palliativo. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.