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Siccità e infrastrutture

Un buco nell'acqua

La crisi non è solo idrica, ma di gestione e investimenti.

di Enrico Cisnetto - 30 luglio 2017

Non manca l’acqua, mancano gli investimenti. I quali, perché ci siano, vanno remunerati. Se è fisiologico che d’estate faccia caldo e a volte piova meno del normale, è invece patologica la totale inazione di fronte ad un’emergenza annunciata, dovuta ad un micidiale impasto di impreparazione tecnica, lassismo politico, feticci ideologici e falsi ambientalismi. È stupido pensare che le infrastrutture idriche, che invecchiano e si deteriorano, si mantengano da sole. Il caso di Roma è emblematico. Lo scontro tra istituzioni, aggravato dal consueto codazzo di inchieste giudiziarie e allarmismi mediatici, omette un punto fondamentale: solo riducendo l’enorme quantità di acqua sprecata, si potrebbe tranquillamente fare a meno del lago di Bracciano per l’approvvigionamento idrico della capitale – illogico fermarlo, giusto l’accordo Acea-Regione Lazio – piuttosto che di quello di Garda (al 31% della capienza), Como, Iseo, Idro e Maggiore al Nord. In Emilia Romagna c’è la situazione più grave, con l’invaso di Mingano e il bacino del Molati praticamente all’asciutto, ma non sono da meno la Toscana e tutto il Centro-Sud, con gli invasi calati mediamente del 30%. D’altra parte, è impensabile perdere il 40% del trasportato (ma in certi casi si arriva anche al 60%) per tubazioni colabrodo e innesti abusivi, come è impensabile che dei 300 miliardi di metri cubi di pioggia che scendono ogni anno si riesca a sfruttarne solo l’11%.

L’acqua è un bene prezioso, che deve essere tutelato. E per questo, pagato. Se le tariffe a Roma e Milano sono di un euro per metro cubo, mentre a Parigi si arriva a quattro e a Berlino a sei, non sarebbe meglio alzare di poco i prezzi (nella Capitale basterebbero 6-7 euro annui a utenza), così da poter finanziare le opere per dimezzare gli sprechi, portandoli ad un fisiologico 20%, in linea con gli standard europei? Nel settore idrico, in Italia, si investono in media 35 euro ad abitante, mentre in Europa si arriva a 100. Chi volete che abbia il sistema più efficiente? Inoltre, il trattamento delle acque reflue oggi è fermo al 45%, con oltre 10 milioni di cittadini senza servizio di depurazione che scaricano le acque sporche direttamente nei fiumi e nei mari, con danni ambientali e sprechi, a cui sommano quasi 500 milioni di multe europee.

Nei 2.000 Comuni che gestiscono il servizio direttamente, gli investimenti rasentano lo zero, mentre ormai circa un quarto di acquedotti e reti fognarie ha più di 50 anni. Invece servono miliardi di investimenti. Il settore pubblico soldi ne ha pochi e li spende male, mentre ai privati è stato impedito di farne profitto. Lo sciagurato referendum del 2011, infatti, sulla ambigua litania dell’acqua pubblica, ha bloccato ogni forma di remunerazione del capitale e bloccato ogni tipo di concorrenza. Ciononostante le maggiori società assicurano la tenuta del sistema. Per esempio, il nuovo amministratore delegato di Acea, Stefano Donnarumma, ha già annunciato che il piano industriale che sarà presentato a novembre conterrà sostanziosi investimenti sulla rete. Segno di fiducia che il sistema idrico nazionale possa cambiare. Sarà il caso di imitarlo, ma anche di mettere lui e quelli che vorranno imitarlo nella condizione di lavorare. Perchè oggi il sistema, pagato con le tasse di tutti, costa più di quel che rende e l’acqua manca. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.