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  • 20170521 - Investire per lavorare

Crescita e riforme

Investire per lavorare

Altro che Jobs Act posti di lavoro cresciuti solo grazie agli sgravi

di Enrico Cisnetto - 21 maggio 2017

A volte ci può volere del tempo, ma alla fine la verità viene sempre a galla. Per lungo tempo il Jobs Act è stato celebrato come la misura risolutiva per il mercato del lavoro, ma adesso sono i dati Inps a confermare quanto negli ultimi due anni l’incremento delle assunzioni stabili fosse dovuto esclusivamente agli sgravi fiscali. Ora che sono terminate le agevolazioni, infatti, le imprese scelgono altre forme contrattuali, tanto è vero che nei primi tre mesi dell’anno il saldo tra attivazioni e cessazioni dei contratti a tempo indeterminato è positivo solo per 17.500 unità, il 58% in meno dei 41.700 del 2016 e addirittura il 92% in meno dei 214 mila del 2015. In numero assoluto, poi, i nuovi contratti stabili sono 32 mila in meno (il 7,4%) del primo trimestre dello scorso anno, mentre crescono gli apprendisti (+29,5%) e i lavori a tempo determinato (+16,5%).

Insomma, la riforma del mercato del lavoro non ha provocato effetti dirompenti sull’occupazione, né tantomeno rilanciato l’economia. Certo, ha agevolato l’ecosistema produttivo e svecchiato il nostro diritto del lavoro, ma senza scatenare effetti rivoluzionari. Perché? Intanto, il taglio del cuneo fiscale non è stato reso permanente – cosa accadrà quando i tre anni di sgravi finiranno? – e poi, è stato scelto di dirottare altrove, per esempio il taglio dell’Imu sulla prima casa, risorse preziose.

Dunque, siamo di fronte solo all’ennesima ostentazione di quella “narrazione positiva” che, impedendo una corretta diagnosi non consente poi di individuare la giusta terapia? No, sarebbe esagerato e ingeneroso. Ma per dare una vera scossa al Paese, ci vuole (anche) altro. Senza investimenti, pubblici e privati, l’Italia non riparte. Anzi, scivoliamo sul piano inclinato che descrive l’ultimo rapporto annuale dell’Istat. Dopo sette anni di crisi siamo un paese impoverito, diviso e polarizzato, dove crescono le diseguaglianze. C’è la classe dirigente diffusa e chi ha una buona pensione (quasi 10 milioni di persone). Poi, una classe media di pensionati (10,5 milioni), operai atipici (6,2 milioni) e impiegati (12,2) che sta scomparendo e rischia di confluire negli altri 22 milioni di persone definibili come tendenzialmente “povere”. Un paese dove una famiglia su tre fatica ad arrivare a fine mese, con 2 milioni di giovani sfiduciati che non studiano e non lavorano. Ragazzi che in sette casi su dieci restano a casa dei genitori ben oltre i 30 anni e che spesso fuggono dal Paese – le registrazioni all’estero nel 2016 hanno toccato quota 1,5 milioni – visto che l’ascensore sociale è bloccato e il livello di istruzione si “eredita” dalla famiglia e difficilmente si acquisisce a scuola o sul lavoro. Insomma, una società che sta involvendosi.

E’ evidente, dunque, che non c’è stata nessuna reale ripartenza e che, anzi, il Paese va avvitandosi su se stesso. Tuttavia, l’elezione di Macron dimostra quanto dire la verità possa risultare vincente. La soluzione non può essere quella di cavalcare il risentimento sociale, attaccando oggi la politica, domani i ricchi e dopodomani magari le imprese, proponendo soluzioni semplicistiche a problemi complessi. Dopo una presa di coscienza, invece, servirebbe una pianificazione economica in cui stabilire per i prossimi anni dove investire, quali tasse tagliare, quali riforme portare avanti. Altro che “narrazione”. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.