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Crisi dell'Europa

Italexit? Un disastro

Euroscettici alla ribalta, ma tornare alla lira non conviene

di Enrico Cisnetto - 06 marzo 2017

Mancano meno di due settimane al voto in Olanda, e per la prima volta nei sondaggi il PVV di Geert Wilders, partito nazionalista ed euroscettico finora accreditato come vincitore, è sceso al secondo posto, dietro i liberali del premier uscente Mark Rutte. È un segnale incoraggiante, anche se si fatica a capire come un paese florido, che nel 2016 è cresciuto del 2,1% e ha una disoccupazione del 6%, possa rischiare di divenire teatro di uno scontro politico che potrebbe rivelarsi esiziale per l’Ue e l’euro. Eppure è così, e dunque occorre prendere atto che per fermare il vento anti-eurosistema che spira sul Continente bisogna, da un lato, prendere in considerazione l’ipotesi di una rivisitazione dalle fondamenta dell’eurosistema, e dall’altro impegnare le forze di governo a spiegare alle opinioni pubbliche, con pazienza unita a fermezza, il rapporto costi-benefici che un’uscita unilaterale dall’euro genererebbe.

Facciamo l’esempio di un’eventuale “Italexit”. Prima ancora di stimare i futuri scenari, arriverebbe subito un conto decisamente salato. Infatti, la Bce ha calcolato in 358,6 miliardi (312 al netto degli attivi) i suoi debiti accumulati nei saldi di “Target 2”, cioè le transazioni effettuate in conseguenza del Quantitative Easing.  Secondo la Bce, se saltasse il banco, questa cifra impossibile da convertire in lire dovrebbe essere immediatamente rimborsata (tra l’altro, principalmente ai tedeschi, che hanno un attivo di 754,1 miliardi). Inoltre, un report di Mediobanca evidenzia come – per effetto di una clausola denominata Cac, in vigore su titoli per 902 miliardi su 2092 complessivi – la conversione in valuta locale dei Btp non è sempre automatica, ma può essere bloccata da creditori in possesso di quote (25%) qualificate su ogni emissione. Per cui, con una svalutazione del 30% della nuova lira, il saldo immediato tra costi e benefici dell’uscita dall’euro sarebbe oggi negativo per 71 miliardi.Per questo ha ragione il direttore generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, a dire che sarebbe “una catastrofe” che “non conviene a nessuno”.

Quando criticai la nascita dell’euro senza una preventiva o almeno parallela unione politica, fui accusato di “euroscetticismo”. Tuttavia, mai mi sono sognato di dire che l’Italia ne doveva stare fuori. Oggi, allo stesso modo, chi sostiene che con il ritorno alla lira staremmo meglio, racconta balle. Per esempio, ammesso che procedere a svalutazioni competitive spingerebbe l’export, poi dovremmo pagare molto di più le importazioni, già molto onerose, di energia e dei semilavorati che trasformiamo con un tocco di Made in Italy. Senza contare che l’export italiano, anche nel pieno della recessione e con un cambio sfavorevole, è andato e continua ad andare meglio di tutti in Europa, tenendo a galla la nostra economia. I mercati non si conquistano ribassando i prezzi, ma elevando la qualità dei prodotti. E se una moneta svalutata deprezzerebbe il debito pubblico – in modo improprio, però, cioè senza toccare la spesa che lo ha generato – il rialzo dei tassi renderebbe la cosa un fuoco di paglia, mentre condannerebbe gli italiani, che sono risparmiatori netti, a veder decurtati il loro patrimonio (9 mila miliardi, il più alto livello sul pil del mondo). Insomma, occhio a non passare dalla padella alla brace. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.