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  • 20170226 - La patrimoniale sul debito

Privatizzazioni e patrimonio

La patrimoniale sul debito

Abbattere il debito con una massiccia un'operazione sul patrimonio pubblico

di Enrico Cisnetto - 26 febbraio 2017

Venndere quote di aziende pubbliche solo per coprire i buchi di bilancio è come il marito che si evira per far dispetto alla moglie. L’idea del ministro Padoan, secondo cui le privatizzazioni hanno “anche lo scopo di ridurre il debito”, è fallace non solo perché le cessioni di quote di società sono cosa diversa dalle privatizzazioni, ma soprattutto perché gli incassi sarebbero una goccia nel mare dei 2.218 miliardi di debito e, alla fine, andrebbero solo a compensare altra spesa corrente, probabilmente improduttiva. E pure se lo scopo, come il ministro dice, fosse rafforzare l’efficienza manageriale delle società “privatizzande”, sarebbe allora prioritario guardare alle migliaia di partecipate locali, di cui più di un terzo perde oltre 2 miliardi ogni anno. Solo per fare un esempio, il debito accumulato dalle municipalizzate romane Ama (rifiuti) e Atac (trasporti) è superiore alla correzione da 3,4 miliardi sul deficit che ci chiede l’Ue entro un mese.

È evidente che un’eventuale procedura d’infrazione inciderebbe sulla (in)sostenibilità di un debito già al 132,8% del pil, cosa che potrebbe trascinarci nel baratro, mentre quello del deficit resterebbe un problema solo contabile. In caso di bocciatura da parte di Bruxelles, infatti, lo spread schizzerebbe alle stelle, accrescendo gli oneri sul debito, che già oggi risultano la prima voce di uscita del bilancio dello Stato nonostante i tassi a zero. Oltretutto, pur con un avanzo primario che nel 2016 ha sfiorato il 2%, lo stock di debito è aumentato di 45 miliardi proprio per il peso del suo finanziamento. Anzi, è dal 1995 (con la sola eccezione del 2009) che lo Stato incassa più di quel che spende, interessi a parte, creando il più alto avanzo primario d’Europa (con il Belgio), eppure il debito è salito di 11 punti rispetto al reddito nazionale. Ed è bene ricordare che, per effetto della politica monetaria espansiva della Bce – che non è eterna, anzi – dal 2012 al 2016 la spesa per interessi si è ridotta di 17 miliardi, pari ad 1 punto di pil (in pratica, senza Draghi, il deficit sarebbe ampiamente oltre il 3%). E non è un caso che nel 2016 lo Stato abbia registrato perdite nette per 4,2 miliardi sui derivati, pari ad un aumento del debito di 3,2 miliardi.

Tutto questo ha una sola spiegazione: la mancata crescita. Da qui la necessità di fare nuovi investimenti. Che sono possibili solo se si abbatte il debito. Perciò, invece di risolvere i problemi contingenti vendendo quote di società strategiche per qualche miliardo, la politica dovrebbe avere il coraggio di dire la verità, cioè che il problema non è il deficit, ma l’enorme debito che frena la crescita, drena risorse e ci espone agli shock finanziari. E per affrontare il “mostro” non c’è bisogno di evocare la “patrimoniale”, tanto più in nome di una malintesa “equità sociale”, perché la soluzione, ormai condivisa da molti, sta nel conferire il patrimonio immobiliare e mobiliare pubblico (enti locali compresi) ad una società da quotare che, tra classamento in Borsa e bond da emettere, può raccogliere ciò che serve per portare sotto il 100% del pil lo stock di debito. Il patrimonio privato, oltre una certa soglia, sarebbe chiamato a concorrere, in modo “solidale” ma remunerato. A quel punto il pil tornerebbe a salire e i rapporti con debito e deficit a scendere. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.