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Un Paese spaccato

The italian divide

Nord/Sud, autonomi/dipendenti, tutelati/precari: siamo nella stagione dell'economia divaricata

di Enrico Cisnetto - 19 febbraio 2017

The Italian divide. Quello, classico, tra Nord e Sud. Ma anche quello tra autonomi e dipendenti, tra micro e medie imprese (grandi non ce ne sono!), tra rendite di posizione e redditi da lavoro, tra iper-tutelati e precari. Pur essendo sempre stato un Paese spaccato, oggi in Italia c’è un’altra linea di confine, sottotraccia ma profonda, che divide: quella tra chi avanza e chi indietreggia, tra iperattivi e inattivi, tra campioni dell’export e aziende che tirano a campare sul mercato interno (spesso sussidiate), tra debito pubblico e risparmio privato. Insomma, tra chi ha futuro e chi no.

Sul piano della congiuntura, certamente non siamo più in recessione. E forse nemmeno in stagnazione, visto che, finalmente, che nel 2016 siamo cresciuti dello 0,9%. Però, c’è poco da esultare per un punto decimale in più delle attese, poiché il nostro sviluppo è comunque quasi la metà della media europea (+1,6%). Dopo 15 trimestri di sviluppo consecutivo dell’eurozona, proprio quando per la prima volta dopo dieci anni tutti e 28 i paesi Ue chiudono in positivo un anno di ripresa generalizzata, l’Italia è l’unica inchiodata sotto l’1%. Così, per recuperare quanto perso durante la grande crisi, di questo passo ci vorranno almeno altri sei anni, mentre la Germania ha già raggiunto il risultato, la Francia sta per farcela e la Spagna è desinata ad anticiparci. Ma, soprattutto, quel +0,9% – destinato quest’anno ad arrotondarsi al massimo all’1% – è la somma algebrica tra la crescita a tassi europei del manifatturiero internazionalizzato, che ha sfruttato alla grande gli spazi concessi dalla politica monetaria della Bce, e dell’area delle esportazioni (cresciute dell’1,1% in valore e dell’1,2% in volume, creando un avanzo commerciale di 51,6 miliardi contro i 41,8 dell’anno precedente, il surplus più alto da un quarto di secolo), e la decrescita delle attività destinate ai consumi nazionali, soprattutto terziarie.

Nel mercato dei servizi, infatti, soffriamo di mancata organizzazione, tanto che l’export terziario di Francia e Germania è doppio rispetto al nostro e la bilancia commerciale dell’Italia segna -4,2 miliardi, a fronte di +23,4 per Berlino e +90 per Londra.

E il divario tra l’Italia che tira e quella che arretra non potrà che crescere, visto che gli investimenti sono destinati solo all’export, tanto che il Fondo Monetario segnala che siamo usciti dalla top ten degli investimenti stranieri. In più, quella che tira è un’area dal perimetro limitato, mentre l’altra è vasta (enorme se gli si somma la pubblica amministrazione e ciò che le gira intorno, anche se privato) e chiede sussidi che la nostra finanza pubblica non è più in condizione di assicurare. D’altra parte, se il motore della ripresa devono essere i consumi nazionali, cosa possiamo attenderci visto che il tasso di occupazione non arriva al 58%, ci sono 9 milioni di outsider che vivono ai margini senza possibilità di riscatto, e la povertà assoluta è quasi raddoppiata rispetto ai livelli pre-crisi? Per non parlare del divario tra Nord e Sud che aumenta progressivamente.

Insomma, dopo la stagione della recessione e quella della stagnazione, ora siano entrati nella stagione dell’economia divaricata. Per una locomotiva che tira, ci sono tanti vagoni che rallentano il viaggio. Ma a lungo andare un paese spaccato per territorio, sistema economico e condizione sociale alla lunga non regge. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.