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Pubblicato su Libero, venerdì 10 febbraio

Mani mica tanto pulite

L’arma segreta di Davigo esca dai cassetti

di Dino Cofrancesco - 10 febbraio 2017

Il primo Convegno per il 25°anniversario di Mani Pulite, si è svolto al Palazzo di Giustizia di Milano in un’Aula Magna semivuota. Erano presenti Antonio Di Pietro e Piercamillo Davigo, Presidente dell’ANM. Sic transit gloria mundi, si sarebbe detto un tempo, quando ogni tanto capitava di rendere grave il discorso citando una sentenza latina. In questo caso, sono parole dell’Imitatio Christi :Angelo Giuseppe Roncalli ,il futuro   Giovanni XXIII, le pronunciò quando seppe che Benito Mussolini era stato destituito il 25 luglio 1943.Si licet magnis componere parva—sia lecita un’altra locuzione latina, per dire che la fine del fascismo è ben altra cosa del malinconico tramonto del pool di Mani pulite. E tuttavia, come Mussolini distrusse l’Italia di Giolitti, così i giudici di Milano fecero a pezzi l’Italia della Prima Repubblica, costringendo all’esilio uno dei suoi più intelligenti e spregiudicati protagonisti, Bettino Craxi. Sono vicende che, con le loro luci ed ombre, appartengono al passato ma che, nondimeno, hanno lasciato un segno profondo nella political culture del nostro paese. Proprio la settimana scorsa, nel corso di una lezione tenuta a un’accademia culturale della Riviera di Levante, sono stato violentemente contestato da una coppia di anziani professori di storia e filosofia (di Milano), per aver detto che l’essenza della modernità sta nel separare la colpa morale dal reato penale e dal peccato, giacché si tratta di dimensioni esistenziali diverse che rinviano a diversi codici e a diverse sanzioni (l’immorale perde la stima di  amici e conoscenti, il reo viene condannato dal Tribunale e il peccatore rischia la dannazione eterna). In sostanza, la coppia rivendicava il diritto e il dovere dei magistrati di indagare sulla pubblica moralità dei cittadini e di dedicare tutto il tempo necessario a scovare i reati commessi dagli uomini al governo. Probabilmente non avrebbe trovato nulla da ridire nelle parole di uno dei più folkloristici inquisitori di Milano:

 Certo un quarto di secolo fa l’Italia aveva bisogno di pulizia: corruzioni e tangenti erano divenute insopportabili in un’economia che si stava lasciando alle spalle gli anni felici del boom. Il repulisti della Procura ambrosiana incontrò il plauso di molti, a destra e a sinistra, e persino un mio indimenticabile collega, autore di saggi fondamentali sulla storia dell’idea antiborghese in Italia, ne fu affascinato. Col tempo, però, si vide che ad attivare le inchieste era un’etica assolutamente incompatibile con la civiltà del diritto, che sta a fondamento della società aperta. Vennero fuori il giacobinismo ottuso, i furori giustizialisti, la rabbia repressa di quanti attribuivano i loro mali alla classe politica e tendevano, come spesso accade da noi, a contrapporle una ‘società civile’ sana, parto anch’essa dell’immaginazione e non meno pericoloso.

 Ormai quello che è accaduto è storia e se non si fa storia del pool ma mera celebrazione—sul modello delle cerimonie ufficiali fasciste e resistenziali—le platee rimangono vuote giacché la gente non ‘se la beve più’ e anzi resta lontana dalle cerimonie per non provare il disagio di chi e per non doverselo rimproverare.

 Per questo mi ha stupito non poco il sermone di Franco Di Mare a ‘Uno mattina’ che, riferendo   dell’Aula milanese semivuota si è lasciato andare a un ricordo dei giudici tanto benemeriti  traboccante di pathos. En passant ,Di Mare ha ricordato anche qualche ombra che grava ancora  sull’immagine dei Di Pietro e dei Davigo-- la carcerazione preventiva o i suicidi eccellenti—ma il tono del discorso faceva pensare all’esaltazione dei martiri napoletani del 1799 nelle ultime pagine del Saggio storico del suo conterraneo Vincenzo Cuoco. L’Italia non se li meritava, mise ostacoli di ogni tipo al loro operato, non consentì loro di portare a termine la ripulitura delle nostre stalle di Augia. Oggi –il riconoscimento s’è stato-- la corruzione è persino aumentata rispetto ai tempi di Bettino ma lo si deve ai supervirus sviluppati dal corpo sociale irrimediabilmente affetto dai tumori più maligni per fermare la mano del buon chirurgo deciso a risanarlo, il San Giuseppe Moscati in toga e tocco.

 Ad alimentare il mio pessimismo, beninteso, non sono le idee di Di Mare—che ha il diritto a non leggere quanto Luciano Violante, Carlo Nordio, Mattia Feltri e altri hanno scritto sulla ‘rivoluzione dei giudici’—bensì il fatto, davvero inquietante, che nel mondo dell’informazione, dai media alle Università, non sia ancora entrato ,non dico il principio della par condicio ,ma neppure quello, assai più terra terra, che fa obbligo di , su ogni questione controversa che riguardi la convivenza umana. Quella che si è sentita a ‘Uno mattina’ è stata solo la campana di Piercamillo Davigo così come, sui banchi di scuola, si sentono solo le campane delle classi politiche che ci governano e dei loro intellettuali organici. E’ come se si avesse paura che dare la parola agli ‘altri’ esponga al rischio di farsi convincere dalle loro (presunte) ‘buone ragioni’.

 E’ inutile cercare il fascismo nei grotteschi seguaci di Forza Nuova: come il feto della Monaca di Monza, dobbiamo cercarlo nel nostro giardino, nel televisore che entra nelle nostre case, plasma il nostro senso comune, ci colpevolizza per le rivoluzioni interrotte. Prima il Risorgimento, poi la Resistenza, poi il 68, poi Mani Pulite. Davigo, lasciava capire Di Mare, aveva in serbo armi segrete giudiziarie che non gli hanno permesso di impiegare. A cosa si riferiva? All’occhio del Grande Fratello incaricato di vegliare sull’onestà dei cittadini e soprattutto dei politici da installare in tutte le case?

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