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Ripresa e declino

I troppi gap dell'Italia

10 anni di crisi, oltre 20 di costante declino. Il risultato è un divario enorme con i competitor

di Enrico Cisnetto - 22 gennaio 2017

Bruxelles ha chiesto a Roma un aggiustamento contabile di 3,4 miliardi di euro, pari a due decimali di deficit. Le trattative sono in corso ma, comunque andranno, senza una crescita del pil e quindi del denominatore, il problema si ripresenterà all’infinito. La prima polemica sui conti pubblici di questo 2017, infatti, è solo l’ultima di una lunga serie cui siamo condannati, oltre che da un eccesso di spesa pubblica improduttiva, da scelte di politica economica deboli quando non sbagliate o, peggio, assenti.

 

Non a caso la “stagnazione secolare” colpisce noi più di tutti gli altri e mentre il vento della ripresa soffia sul pianeta, con +3,4% previsto per quest’anno e +3,6% per il prossimo, l’Italia continua ad arrancare, crescendo la metà dell’eurozona. Nell’ultimo bollettino del Fondo Monetario il nostro Paese è l’unico membro del G7 a subire una correzione negativa delle stime del pil, con un taglio sulle previsioni di ottobre di due decimali per quest’anno e di tre per il prossimo: dovremmo raggiungere un misero +0,7% nel 2017 e un altrettanto sconfortante +0,8% nel 2018. Mentre la Spagna potrebbe segnare rispettivamente +2,3% e +2,1%, la Francia +1,3% e +1,6%, Germania ed eurozona +1,5% e +1,6% per entrambi gli anni. Lo stesso Draghi ha confermato pesanti divergenze tra i paesi dell’Unione. A dicembre, infatti, il tasso di inflazione in Germania è dell’1,7%, nell’eurozona dell’1,1% e in Italia dello 0,5%. E non cambia la prospettiva per la disoccupazione, in discesa in tutta l’eurozona, con i tedeschi al 4,1%, mentre noi siamo risaliti di due decimi, fino all’11,9%.

 

Ma ciò che più allarma è che in questo scenario grave si parli d’altro. L’Italia ha vissuto 10 anni di crisi, dopo 15 di costante declino, avendo clamorosamente “lisciato” i faticosi aggiornamenti che imponeva la globalizzazione. Ed è per questo che ora il gap con i competitor rischia di allargarsi. D’altra parte, fatto 100 l’indice di produttività del 2000, poi, l’Italia è ferma al palo, mentre gli Stati Uniti sono saliti a 108, Giappone e Francia a 106, la Germania a 105. E per gli investimenti va ancora peggio, con -3% nel 2008, -10% nel 2009, -9,2% nel 2012, -6,6% nel 2013 e -3% nel 2014.

Insomma abbiamo perso un quarto del sistema produttivo. E allora, è totalmente fuori luogo indicare i crediti difficili, 340 miliardi pari a un quinto del totale dei prestiti bancari (ma solo 200 sono “sofferenze”), come un problema patologico. Con una recessione di tale portata, fatti salvi i casi di malversazione, è fisiologico. Mentre non è normale né l’attuale caccia alle streghe né che, mentre tutti gli altri mettevano in sicurezza il sistema bancario finanziandolo con centinaia di miliardi, non ci si illudesse al suono della litania “il nostro sistema è solido”, cugino stretto dei più recenti “ristoranti pieni” e #italiacheriparte. Allo stesso modo, abbiamo pensato che qualche bonus sui redditi potesse rilanciare i consumi, mentre il problema è sul lato dell’offerta, con mancata innovazione, assenza di investimenti (oltretutto allontanati dalla “malagiustizia”), povertà di management, di cultura imprenditoriale e di politica industriale. Per tutto questo, più che incolpare l’euro, l’Europa o il referendum, possiamo prendercela solo con il nostro immobilismo. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.