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Gli scenari post referendum

Dopo Renzi, senza Renzi

Renzi esce di scena e apre una stagione al buio, forse necessaria

di Marco Dipaola - 05 dicembre 2016

Il giorno dopo il referendum l’Italia si sveglia tra certezze e dubbi.

Certezze, su quel che è avvenuto, sulla vittoria inequivocabile del NO, che oltre a bocciare una riforma costituzionale di cui già nessuno parla più, ha decretato la fine della prima esperienza di governo di Matteo Renzi.

Eh sì, perché era chiaro sin dal principio che il referendum si fosse palesemente tramutato in una scelta pro o contro di lui. Un errore grave, hanno detto in molti, quello di personalizzare totalmente la campagna elettorale, puntando sul consenso personale (impensabile arrivare al 51% da solo, anche se 13 milioni e mezzo di voti non si possono negare) e non sul merito della proposta di riforma, che invece sarebbe dovuta essere condivisa da più parti per avere chance di successo.

Un errore inevitabile però, perché anche se non avesse personalizzato “a favore” la campagna elettorale, tutto il fronte del NO l’avrebbe personalizzata “contro”. In sostanza Movimento 5 Stelle, Lega, Forza Italia e minoranza Pd avrebbero puntato comunque contro il rischio di deriva autoritaria di Renzi e del suo (mal)Governo, e a quel punto Renzi si sarebbe dovuto esporre per difendere il proprio operato, perchè non sarebbe stato da lui porgere l’altra guancia. Un Renzi “muto” rientra, infatti, in uno scenario immaginifico a cui solo i sostenitori delle scie chimiche, della secessione padana e della parentela tra Ruby e Mubarak potevano credere. Infatti così non è stato! Renzi c’ha messo la faccia, come è nel suo personaggio, sia nella vittoria sia nella sconfitta. “Ho perso e la poltrona che salta è la mia” ha detto nel suo primo (e unico fino ad ora) discorso post sconfitta. Le sue dimissioni ora sono al vaglio di Mattarella, che proverà a cercare una nuova maggioranza in Parlamento a sostegno di un nuovo governo che traghetti il Paese ad elezioni.

Si arriva così alla domanda delle domande: e adesso?

Inutile negarlo, nessuno può prevedere cosa succederà né nessuno è in grado di decidere da solo il da farsi. Il variegato blocco del NO al 60% si è già sgretolato, anche se in realtà non è mai stato unito, e ogni forza politica si è intestata la vittoria, proponendo scenari futuri coincidenti con la propria convenienza elettorale.

E allora si passa dai grillini che incitano al voto immediato con le leggi elettorali vigenti – ben due: una valida alla Camera, l’Italicum, tra l’altro in attesa di giudizio da parte della Corte Costituzionale, e l’altra al Senato, il vecchio Consultellum, totalmente opposta nel funzionamento all’Italicum – alla Lega di Salvini che vuole subito nuove elezioni, ma con “una nuova legge elettorale che si può fare nelle poche settimane in cui Renzi fa gli scatoloni”; fino a Forza Italia che, tramite Brunetta, invita il Pd a fare un altro governo ma senza Renzi. Più prudente D’Alema, simbolo della minoranza democratica che si è opposta al SI, che non ha auspicato chiaramente una soluzione immediata, perché in fondo la sua rivincita godereccia alla rottamazione che fu l’ha già avuta.

La verità, in questo cortocircuito politico-istituzionale, è che la patata bollente è nelle mani del Presidente della Repubblica, che non potrà che impostare le consultazioni partendo dal Pd, unico partito che ha i numeri in Parlamento per essere l’architrave di un possibile nuovo governo.

Si, proprio il Pd, un partito mai così diviso, in cui in molti hanno partecipato alla caduta del Governo presieduto dal proprio segretario. Lo stesso Pd dovrebbe magicamente (o opportunisticamente) ricompattarsi per votare la fiducia ad un nuovo esecutivo presieduto da chissà quale eminente figura di garanzia. Ipotesi fantasiosa che se si tramutasse in realtà sancirebbe il tracollo definitivo di un partito già mortificato e difficilmente presentabile elettoralmente.

E poi c’è Renzi e la sua uscita di scena, che dovrebbe essere immediata e totale, perché l’assenza in questi casi fa molto più rumore della presenza. Come in tutti gli addii solo il tempo aiuterà a comprendere la portata di una scelta, in questo caso referendaria. Ma il tempo va lasciato agli altri, a chi ha vinto, senza cincischiare.

L’uscita di scena è più importante dell’entrata, quindi, perché è quella che si ricorderà quando poi inevitabilmente il nome di Renzi tornerà ad essere invocato per elezioni vere, per cui lui non ha mai corso e che rappresentano il vero tallone d’Achille della sua esperienza politica fino a qui.

Siano gli altri allora a sbrogliare la matassa ridando serenità ad un Paese malato di rancore, e che forse ha bisogno di provare l’ebbrezza di una stagione al buio per apprezzare di nuovo l’indispensabilità della luce.

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