Contro il trumpismo
Tutti i rischi per l'Europa e l'Italia dalla svolta Usa in economia
di Enrico Cisnetto - 15 novembre 2016
Ora bisognerà confrontare il Trump dei comizi con quello responsabile del governo degli Stati Uniti, sperando che il secondo somigli poco al primo. Ma se il nuovo inquilino della Casa Bianca rispettasse anche soltanto la metà dei roboanti annunci fatti, l’economia americana, e quella europea e italiana di conseguenza, subirebbero effetti notevoli. I tagli fiscali promessi equivalgono ad almeno 6 mila miliardi di dollari di minori incassi federali in 10 anni (circa 3 volte il pil italiano) e 7 mila miliardi di dollari di nuovo debito, pari alla metà di quello complessivo, che ha già sforato il 100% del pil. Ora, da una parte, nel lungo periodo questa politica sarebbe insostenibile e, dall’altra, i bond Usa che in concomitanza con un futuro rialzo dei tassi di interesse smettessero di essere affidabili, potrebbero essere in tempi brevi la scintilla per una nuova tempesta finanziaria. Certo, l’incertezza potrebbe indurre la Fed a rinviare il rate hikeprevisto per dicembre, ma la banca centrale americana non è organo costituzionale, e solo modificando la legge istitutiva del 1913, Trump potrebbe averne il controllo, ottenendo quella politica monetaria più restrittiva che i repubblicani da tempo invocano. Fino a quel momento, comunque, la liquidità continuerà ad essere abbondante e difficilmente il dollaro risalirà sull’euro. Così, con l’economia dell’eurozona in palese difficoltà, è quasi sicuro che la Bce rinvii la scadenza di marzo del QE.
Ora, se la riduzione dei poteri delle banche centrali è tutta da vedere, la svolta protezionista è quasi una certezza, e di conseguenza è probabile che per supportare l’export Trump punti ad un deprezzamento del dollaro (che, per esempio, si è rivalutato di oltre il 20% da quando Draghi ha innescato il QE), rendendo migliori le ragioni di scambio Usa. E dunque peggiorando le nostre. Che potrebbero poi ulteriormente soffrire se venissero innalzati muri doganali. Il Nafta (con Canada e Messico) dovrebbe restare in vigore nonostante le minacce, ed è difficile che gli States escano dal Wto, ma i trattati commerciali con Asia ed Europa (Ttp e Ttip) sono visti negativamente, mentre i dazi sui prodotti cinesi, che The Donald ha annunciato tra il 35% e il 45%, potrebbero scatenare una pericolosa guerra commerciale. Inoltre, la Casa Bianca può imporre barriere e dazi doganali in alcuni settori, come il tessile e l’alimentare, che danneggerebbero ulteriormente le nostre esportazioni. E se il commercio internazionale già cresce la metà di anni fa, ora nuovi blocchi potrebbero frenare ulteriormente la già non brillante crescita globale.
Tuttavia, Trump è personaggio singolare, ma non stupido, e probabilmente si circonderà di gente esperta. Forse non considererà l’Ue come partner strategico, ma commerciale sì. In attesa che il trumpismo si manifesti concretamente, l’Europa farà però bene a lavorare sulle sue contraddizioni interne, in vista delle trattative euro-atlantiche e degli sviluppi della globalizzazione. Per esempio, sui cambiamenti climatici Trump è stato double face, e gli accordi di Parigi potrebbero perdere molto della loro efficacia, con ripercussioni negative sui nostri player di energia (gas e rinnovabili) a favore di olio e carbone. Dunque anche per questo è l’ora di una Maastricht energetica. Insomma, quando gli Stati Uniti cambiano, cambia il mondo intero: prepariamoci. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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