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  • 20161030 - Risparmio senza crescita

La ripresa che non c'è

Risparmio senza crescita

Tanto risparmio "patologico", poco sviluppo. Gli italiani non si fidano della fine della recessione

di Enrico Cisnetto - 30 ottobre 2016

Tanto risparmio. Poco sviluppo. Il tradizionalmente solido patrimonio privato degli italiani, dopo l’erosione dovuta alla crisi, è tornato ad aumentare, molto più della crescita, anemica. Ma resta fermo, immobile e inutilizzato, come dimostra una ricerca dell’Associazione delle Casse di Risparmio (Acri) in collaborazione con l’Ipsos e diffusa durante la 92° Giornata del Risparmio. In pratica, la fine della recessione non coincide con il ritorno della fiducia, e quindi non produce né consumi né investimenti. Nonostante un lieve incremento per il terzo anno di fila di coloro che migliorano il proprio tenore di vita (il 6%, dopo il 5% dell’anno scorso e il 4% di due anni fa), aumentano gli italiani che risparmiano (dal 37 al 40%), perché quello che prevale è il pessimismo: l’86% prevede che la crisi durerà ancora anni e che non torneremo ai livelli precedenti prima del 2021. Il calcolo è semplice: di fronte ad un avvenire individualmente e globalmente incerto, con prospettive di pensioni insufficienti e lavori instabili, meglio mettere nel salvadanaio quanto più possibile, come accade per quasi 9 italiani su 10. Ecco dunque il risparmio “patologico” figlio delle crisi, che si somma alla tendenza italica (seconda solo ai giapponesi) ad accumulare.

 

Ma quello che preoccupa di più è che le politiche redistributive attuate in questi anni per sacrosanti principi di equità e meno sacrosanti scopi elettorali (80 euro, bonus maggiorenni, quattordicesima ai pensionati) non aiutano i consumi, e quindi la crescita, ma vanno solo a ricostituire quella parte di risparmi erosa durante la crisi. Come ha ben detto Giuseppe Guzzetti, presidente dell’Acri, i risparmi degli italiani che durante la pesante crisi, insieme a sacrifici e rinunce, hanno evitato il peggio, ora devono “andare a sostegno dell’economia”. Perché solo gli investimenti sono in grado di trasformare il circolo da vizioso a virtuoso, stimolando la ripresa e moltiplicando i numerosi fattori produttivi attualmente sottoutilizzati (deflazione, disoccupazione, il surplus commerciale di Olanda e Germania). D’altra parte, senza crescita difficilmente il nostro enorme debito pubblico scenderà. Oltre 2300 miliardi di euro che ci espongono a nuovi shock finanziari e ci costringono al pagamento di decine di miliardi di interessi (anche ora che i tassi sono a zero) che da vent’anni, con l’eccezione del 2009 trasformano l’avanzo primario in deficit. E che, oltretutto, riducono i margini di manovra sulle finanze pubbliche.

 

Insomma, siamo in una spirale negativa in cui, da una parte, le politiche economiche dal governo non migliorano l’economia e, dall’altra, non c’è alcuna strategia per utilizzare gli oltre 8.500 miliardi (dati Bankitalia) di ricchezza netta presenti nel Belpaese. L’antica ma sempre valida idea è che parte del patrimonio immobiliare pubblico sia conferito ad una società da quotare in Borsa, che poi emetta bond a tassi di interesse vantaggiosi (attualmente non ci vuole molto) a cui l’immenso capitale privato debba concorrere. Il debito potrebbe essere ridotto, il risparmio uscirebbe dalla pietrificazione, gli investitori ci guadagnerebbero, e ci sarebbero anche maggiori spazi per gli investimenti (pubblici direttamente e privati tramite detassazioni). Rimane solo un interrogativo: a mancare è il coraggio, la lungimiranza o proprio la comprensione dei problemi? (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.