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Giovani, istruzione, lavoro

Demeriti scolastici

La scuola punti tutto sul merito per favorire l'ingresso in azienda

 

di Enrico Cisnetto - 23 ottobre 2016

Certe cose s’imparano fin da piccoli. E la meritocrazia, come sistema educativo che tende a migliorare gli individui e con loro la società nel suo complesso, purtroppo in Italia non è tra queste. Puntare sul merito non equivale ad una smodata competizione priva di regole, ma alla selezione delle energie migliori, all’incoraggiamento di quelle potenziali, all’aiuto di quelle nascoste. Invece nella scuola italiana, pervasa dalla mediocre ideologia del “sei politico”, le bocciature sono rare, quasi inesistenti, come se ci fosse un divieto, pur tacito. Secondo i dati del Miur la “non ammissione” è praticamente pari a zero alle elementari, diventa il 4% alle medie, sale fino al 12,4% negli istituti professionali, al 9,8% in quelli tecnici e scende al 4,3% nei licei, che invece dovrebbero essere i principali luoghi di selezione.

Come sostiene l’Ocse, il problema è che si evita di bocciare chi non studia o non si impegna, per poi “stangare” chi non ce la fa per motivi familiari e sociali, tanto che è allocata in questa “categoria” la maggior quota di “non ammessi” negli istituiti professionali. E la bocciatura, oltre a causare più costi per il servizio scolastico e danni all’economia, spesso conduce all’abbandono proprio di chi è già in difficoltà. Oltretutto, se anche può servire, la bocciatura da noi arriva tardi. Negli Stati Uniti è stato dimostrato che ripetere un anno funziona se ciò avviene presto, quando c’è ancora tempo per colmare le lacune. Anche perché qualche bocciatura qua e là non risolve nemmeno il problema delle diseguaglianze. Il Consiglio di valutazione del sistema scolastico francese (che è un po’ il nostro Invalsi, ma indipendente dal ministero e senza la pretesa di esaustività) nell’ultimo rapporto pubblicato sostiene che “la scuola amplifica la diseguaglianze sociali”, perché se anche sembra di entrarci uguali (e forse lo si è anche), alla fine se ne esce certamente diversi. Ora, si può anche essere contrari tout court alla bocciatura, proponendo in alternativa la personalizzazione dei percorsi di studio e dei tempi di apprendimento. Ma se la nostra scuola non abitua al merito, non insegna il valore dello studio, non indirizza i ragazzi, tutto il resto conta poco o nulla.

E questo si riflette sul mondo del lavoro. Perché è vero che molti laureati sono costretti ad andare all’estero, ma è anche vero che in tre casi su dieci (dati Manpower) le imprese non trovano i profili che cercano, con quasi 100 mila professionisti che “mancano” all’appello. Non è un caso che la disoccupazione giovanile in Italia sia quasi il doppio di quella europea, che il numero degli “scoraggiati” sia in triste crescita, che i giovani meridionali siano più poveri dei migranti. E, infatti, il rapporto Invalsi 2016 ci dice che lo squilibrio dei risultati scolastici tra Nord e Sud si va a dilatare durante gli anni del percorso di studio obbligatorio.

Il capitale umano, ai fini dello sviluppo economico, è più prezioso di qualsiasi materia prima. E non è sbagliato individuare 500 liceali gifted (dotati) degli ultimi due anni e dargli un assegno mensile per aiutarli ad “eccellere”. Com’è positivo che nella manovra siano stanziati 100 milioni per creare negli atenei dei laboratori in grado di integrarsi con le aziende di Industria 4.0. Ma il problema è a monte. Anzi, “elementare”: la scuola 0.0. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.