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  • 20160925 - Il ritordo della politica industriale

Industria 4.0

Il ritorno della politica industriale

Puntare forte sull'industria per ridare sprint alla ripresa. Ora tocca alle imprese 

di Enrico Cisnetto - 25 settembre 2016

Dopo i fasti del dopoguerra, in Italia la politica industriale è progressivamente deperita, fino a morire nel corso degli anni Novanta. Oggi, forse, potrebbe rinascere in una nuova forma, magari non ottimale, ma in linea al contesto produttivo internazionale, alle tecnologie digitali e, purtroppo, alla sostanziale mancanza di risorse pubbliche. Speriamo, insomma, che il programma “Industria 4.0” – varato dal governo grazie all’impegno del ministro Calenda, ora alla guida del Mise dopo essersi occupato con profitto di commercio estero con la carica di viceministro – sia l’inizio di una fase “construens”, dopo che per tre anni la rottamazione si è focalizzata principalmente su quella “destruens”. Ne avremmo disperatamente bisogno, poiché dall’inizio della crisi la nostra industria ha perso un quarto della capacità produttiva e se nella progressiva desertificazione industriale l’economia ha retto, e se rimaniamo il secondo paese manifatturiero d’Europa, lo dobbiamo principalmente alle esportazioni, cresciute negli anni di recessione anche più di quelle tedesche.

Il piano Industria 4.0 mette a disposizione dei privati una serie di misure: superammortamento che passa dal 140% al 250%; credito di imposta raddoppiato e credito massimo per contribuente quadruplicato; detrazioni fiscali al 30% per investimenti fino a 1 milione di euro l’anno in start-up e pmi innovative. Un piano che, al di là delle risorse pubbliche (13 miliardi di incentivi fiscali in 7 anni e 10 di investimenti già dal prossimo) cerca di stimolare quelle private (obiettivo 24 miliardi) e che, soprattutto, parte dall’idea di voler rilanciare la manifattura attraverso la combinazione del settore pubblico, che sostiene, coordina e coinvolge università e centri di ricerca, e di quello privato, a cui è affidata la selezione dei progetti, in una logica di mercato. Insomma, più Stato e più mercato, come da tempo taluni – tra cui il sottoscritto – vanno ripetendo.

Tuttavia, questa impostazione, per sottrarsi tentazioni dirigiste (il ricordo dei “panettoni di Stato” è ancora vivo), evita di scegliere tra i comparti, preferendo agire in maniera “orizzontale”. Capisco, ma temo che l’atto di fede sulla capacità del nostro capitalismo di imboccare le strade giuste sia un azzardo. Proprio perché da molto tempo non esiste più uno straccio di strategia industriale. Probabilmente, senza bisogno di fare distinzioni chirurgiche tra i diversi settori, provare a disegnare – anche in termini di opzioni merceologiche – la struttura ideale del nostro sistema industriale prossimo venturo, potrebbe rivelarsi necessario. E vincente.

Dopo quella tecnologica degli anni scorsi, oggi la stagione che stiamo attraversando è basata su una nuova rivoluzione industriale in cui nei processi produttivi si è in grado di connettere le potenzialità della digitalizzazione alla fabbrica, di sviluppare “l’internet delle cose”, di creare un pezzo unico con i vantaggi della riproduzione seriale attraverso una stampante 3D, in una sorta di “artigianato industriale”. E questo implica la necessità di modificare radicalmente l’offerta produttiva, mentre per troppe volte si è deciso di alimentare solo la domanda con interventi estemporanei, quando non proprio elettorali.

Senza investimenti, e quindi senza politica industriale, dalla crisi non si esce. Speriamo che stia risorgendo. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.