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La polemica del tetto retributivo

La competenza costa

Dalle nomine della Raggi al caso di Luca Pani. La competenza non è un optional

di Enrico Cisnetto - 11 settembre 2016

La competenza non è un optional. E l’inguardabile giostra di nomine e dimissioni nella giunta di Virginia Raggi in Campidoglio testimonia anche quanto possa essere autolesionista la retorica pauperistica che trasforma l’eccellenza, per il solo fatto di essere adeguatamente retribuita, in vizio. In questo caso “capitale”. La polemica che i 5stelle hanno scatenato sulle retribuzioni di chi loro stessi avevano ingaggiato è figlia di una cultura populista che probabilmente ha consentito di vincere le elezioni ma ora contribuisce al disastro. Nella Capitale fallita, così come nel Paese in declino, per organizzare il riscatto servono meritocrazia ed aumento (incentivato) dell’efficienza burocratica, non la mortificazione delle eccellenze o premi distribuiti a pioggia, senza alcuna criterio selettivo, a migliaia di dipendenti. La competenza costa, per costruirla servono anni di studio ed esperienza pratica e il suo utilizzo è prezioso e non può essere sottopagato, altrimenti non avrebbe senso impegnarsi tanto per costruirla.

Eppure noi, dopo la crisi economica – con la perdita del 10% del reddito disponibile e la verticale caduta della credibilità del sistema politico-istituzionale – quando sarebbe servito pagare la competenza per quel che merita, ci siamo lasciati andare ad una spregiudicata demagogia che ha alimentato l’invidia e il rancore sociale. E con la scusa di contenere la spesa pubblica, abbiamo partorito un obbrobrio giuridico e socio-economico: la legge che impone un tetto di 240 mila euro per i dirigenti pubblici. Come se per sconfiggere dilettantismo e malcostume serva pagare tendenzialmente poco (almeno rispetto al mercato privato) e tutti allo stesso modo. Con l’inevitabile risultato che chiunque guadagni più della media, non importa se con o senza merito, è comunque da additare come privilegiato a danno della collettività. Scatenando così una caccia al “burocrate mangia pane a tradimento” che sta mettendo seriamente a rischio la competenza dei gran commis di Stato che sono ai vertici di istituzioni e società altamente strategiche. Manager a cui si impone di avere retribuzioni equiparate a quelle del Capo dello Stato, mentre è evidente che le cariche elettive hanno motivazioni, criteri e metodi ben diversi da quelli del mondo del business.

Se volete un esempio di dannosa retorica pauperista, prendete la polemica scatenata dai grillini e da certa stampa perché Luca Pani, a capo dell’Aifa (l’agenzia del farmaco), oltre allo stipendio da direttore generale percepisce anche compensi da come consulente dell’agenzia europea del farmaco (Ema). Ora, a parte che i soldi dell’Ema sono di origine totalmente privata e non pesano un euro su bilancio pubblico e tasche dei contribuenti, ma anzi fanno guadagnare l’Aifa, che incassa per contratto metà dei suoi compensi, ma Pani è uno scienziato di livello mondiale, che ha riconoscimenti e cattedra negli Stati Uniti, che andrebbe ringraziato, e non mortificato, per aver accettato il delicato incarico di valutare i farmaci e deciderne i prezzi. Le sue consulenze derivano da un’indicazione del ministro della Salute e hanno avuto il placet della Corte dei Conti, ma tant’è, la voglia di acquisire benemerenze (politiche, mediatiche, sociali) facendo la caccia alle streghe è più forte di qualunque ragionevolezza. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.