Pensioni a debito
Tutte le incognite della flessibilità in uscita
di Enrico Cisnetto - 21 giugno 2016
Già quando nasce, ogni italiano ha circa 33 mila euro di debito pubblico sulle spalle. E se pure non abbiamo il prestito universitario come negli Stati Uniti, ogni acquisto nella nostra vita, dall’automobile all’abitazione, è scandito dalla creazione di debiti. Ora, con queste premesse, è proprio necessario indebitarci ulteriormente per guadagnare qualche anno di anticipo nell’andare in pensione? Eppure, il governo sembra intenzionato a consentire dal 2017 l’uscita volontaria dal lavoro 3 anni prima rispetto alla soglia di vecchiaia. Questa misura, del costo di circa 10 miliardi, è stata però costruita come una sorta di mutuo pensionistico individuale. Si tratta di una sperimentazione triennale destinata ai nati tra il 1951 e il 1953, i quali potranno ricevere un assegno pensionistico anticipato (APE) che, appunto, sarebbe finanziato da un prestito bancario erogato via Inps, rimborsabile in vent’anni. Insomma, a parte i lavoratori delle aziende in crisi, i disoccupati e gli esodati, a cui provvederà lo Stato, per gli altri si tratta di una scelta che consentirebbe di lavorare meno, ma con una decurtazione fino al 15% della pensione netta e una rata da pagare successivamente, come fosse la cessione del quinto.
L’ho scritto molte volte, la flessibilità in uscita non è di per sé sbagliata, anzi rappresenta un corretto corollario del definitivo passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. Inoltre, questo provvedimento non va a toccare la legge Fornero, l’unica vera riforma che ci ha salvato dal default. Però, anche in tema di previdenza il diavolo s’infila tra i dettagli, e per fare i calcoli precisi di quanto saranno decurtati gli assegni è necessario aspettare la proposta formale, perché per adesso le cifre ballano. Insomma, sarà fondamentale capire se la penalizzazione per i pensionandi porterà ad un altro fallimento come quello già avvenuto per l’anticipo del Tfr, perché considerata eccessiva. E bisognerà anche capire almeno altre due cose: quali saranno i tassi di interesse di questo “prestito pensionistico”; cosa succederà se chi usufruisce dell’anticipo muore prima di rimborsare il debito (è prevista un’assicurazione, ma chi paga il premio?).
Ma queste sono valutazioni individuali. Sul piano economico generale, il tema è quello della creazione di altro debito (seppure privato) nel paese con il più alto debito pubblico d’Europa in valore assoluto (2230 miliardi). È utile che la liquidità senza limiti creata dalla politica monetaria venga usata per questo e sempre meno per investimenti produttivi? La domanda non è retorica, se si considera la fragilità della nostra ripresa e se si tiene d’occhio (con apprensione) il fatto che oggi nel mondo c’è il 25% in più della massa di derivati esistenti al momento dello scoppio della grande crisi finanziaria mondiale, e che le maggiori economie di mercato del mondo (i 34 paesi Ocse) hanno complessivamente accumulato 45 mila miliardi di dollari di debito pubblico, il 94% del loro pil. È evidente che il rischio di nuove “bolle” è in agguato, mentre con inflazione e tassi a zero, i fondi pensione esteri (che lavorano con un sistema “a capitalizzazione”, mentre quello italiano è “a ripartizione”) avranno sempre maggiori difficoltà a rifinanziarsi.
Pensare di rinviare i problemi posticipando i pagamenti può essere una furbata, ma è destinata a diventare una fregatura. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
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