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Il responso dele urne

La vittima del sistema è Roma

Forse il vanto sta cambiando, ma è malsano e porta instabilità

di Giorgio Cavagnaro - 06 giugno 2016

Il risultato scaturito dal primo turno elettorale amministrativo in città come Roma, Milano, Torino e Napoli è certamente significativo. “Il vento cambia”, dice Grillo, e probabilmente ha ragione. Solo che si tratta di un vento assai malsano, destinato a minare quel poco di stabilità che l’Italia aveva raggiunto in tre difficilissimi anni.

Il bombardamento populista ha raggiunto il suo obiettivo, mandando a percentuali molto alte candidati, soprattutto a Roma e Napoli, di scarsissimo spessore politico. Non conosco a fondo l’operato di De Magistris a Napoli ma mi pare che in quattro anni di mandato la città partenopea non abbia fatto registrare vistosi passi in avanti nella qualità di vita dei suoi cittadini, in senso lato. Direi che nel meridione il bisogno di “uomini forti” è sempre stato, storicamente, più sentito rispetto ad altre zone del Paese, e De Magistris è evidentemente riuscito, più col suo eloquio di stampo mussoliniano che con fatti concreti, a convincere i napoletani di essere l’uomo giusto per questa città.

Il caso di Roma è più complesso. Era ampiamente prevedibile che il pasticcio seguito alla sconcertante vicenda del sindaco Marino avrebbe spianato la strada alla candidata più improvvisata che la storia di questa città abbia mai conosciuto. In poche parole, a Roma avrebbe vinto anche il mio vecchio gattone soriano, opposto alle macerie della lotta fratricida che il Pd ha scelto di mettere in atto scegliendo la capitale come campo di battaglia.

La comunicazione intorno al caso-Roma da parte dei Partito Democratico è stata talmente deficitaria da indurre il sospetto che la perdita del governo cittadino fosse considerata dagli strateghi un fatto acquisito da mesi, dunque gestito come un obolo inevitabile puntando invece sul governo nazionale. Dubito, da italiano e da romano, che sia stata una strategia giusta. D’altra parte non è che i dem avessero molte alternative nella scelta degli uomini, il risultato di Giachetti è già da ritenersi miracoloso.

Rimangono da interpretare i motivi che hanno impedito una spiegazione chiara, ai cittadini, sulla gestione del caso-Marino. Questo vistoso buco nero ha lasciato, in larghe fasce degli elettori romani di tutti gli orientamenti, il sospetto che Marino fosse non il politico inadeguato al difficilissimo compito cui si era inopportunamente candidato, ma una “vittima del sistema”. L’unica vera vittima è invece la Capitale d’Italia, costretta a un futuro di grande incertezza.

Probabilmente sarebbe bastato evidenziare come Marino guidasse tranquillamente una giunta di indagati da lui scelta con evidente insipienza e sventatezza, pensando poi solo a se stesso nel momento del tracollo. Ma far ciò avrebbe significato scoperchiare il vaso di Pandora sulla battaglia vera che sta dilaniando il Pd e, di riflesso, l’Italia. Quella tra la vecchia nomenklatura guidata da Massimo D’Alema e la gestione del partito da parte di Matteo Renzi. Quanto meno interessante sarebbe stato, come da me sommessamente suggerito proprio su questo giornale un po’ di mesi fa, il boccone avvelenato di una candidatura a sindaco di Roma offerto proprio a D’Alema da parte di Renzi.

A Torino la gestione cittadina di Piero Fassino, qualitativamente ben diversa da quella di Marino a Roma, ha fronteggiato l’ondata populista di destra e a Milano, città che devo a malincuore definire più evoluta politicamente di Roma pur con l’attenuante per quest’ultima di essere stata abbandonata a se stessa dalla politica da troppi anni, si profila un duello tra Sala e Parisi, candidati entrambi ampiamente all’altezza della situazione.

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