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  • 20160520 - Una splendida minoranza narcisistica

La morte di Marco Pannella

Una splendida minoranza narcisistica

Un ricordo fuori dal coro di Enrico Cisnetto

di Massimo Pittarello - 20 maggio 2016

All’età di 86 si è spento Marco Pannella, leader dei radicali e figura storica della politica italiana. Il direttore di TerzaRepubblica lo ha conosciuto decenni fa, percorrendo un pezzo di strada con lui. Non è mai facile intervistare il proprio direttore, ma una domanda è doverosa. .

Piango Marco Pannella, perché con lui se ne va una parte della mia storia. Ma forse sarebbe meglio aspettare che questo polverone di ipocrisia celebrativa decantasse. Vedo anche in questo caso la tendenza italica al ‘coccodrillismo’, con tanta gente che coglie l’occasione delle morti altrui per autorappresentarsi e autocelebrarsi. Scalfari, per esempio, scrive “io e Marco”, nemmeno “Marco ed io”. Non voglio partecipare al coro a senso unico delle celebrazioni, anche perché pur riconoscendo a Pannella i meriti che gli spettano, vorrei parlare dei demeriti, o comunque fare un’analisi meno emotiva.

Ma tu lo hai conosciuto personalmente molto bene tanto tempo fa e avete avuto anche un percorso di storia politica insieme. Come vi siete conosciuti?

Credo fosse il ’72 o il ’73 a Genova, quando ero segretario dei giovani repubblicani del glorioso partito repubblicano di Ugo La Malfa. In Galleria Mazzini, insieme ai radicali facemmo un sit-in contro il Concordato tra Stato e Chiesa. Ricordo che affiggemmo dei manifesti listati a lutto, come fossero annunci mortuari, in occasione dell’11 febbraio, l’occorrenza del Concordato. Su quello e su altre prese di posizione a favore del divorzio, dell’aborto e sui temi dei diritti civili, ricevetti una ‘scomunica’ dal Cardinal Siri. O almeno credo, perché non sono mai andato a vedere formalmente, ma sulle pagine del giornale cittadino di proprietà della Curia genovese che si chiamava “Il Cittadino” apparvero parole di fuoco contro di me, giovane lamalfiano. Da allora, comunque, con Marco abbiamo avuto molte occasioni di vederci e di incontrarci.

Dai commenti emersi dopo la sua morte sembra che le sue battaglie siano state le battaglie di tutti, mentre non era così.

A cominciare dai comunisti. Devo dire che ascoltando come faccio tutte le mattine la rassegna stampa di Massimo Bordin su Radio Radicale – che è il prodotto migliore non solo giornalisticamente, ma anche politicamente, che esce dal crogiolo radicale – ho visto che qualche vecchio comunista ha ammesso che Pannella li ha dovuti prendere per le orecchie per portarli verso certe posizioni. Certo, alcuni atteggiamenti della sinistra vecchia e nuova verso quelle battaglie che sono state sicuramente di minoranza fanno un po’ impressione. Forse si sono comportati in maniera più coerente i cattolici.

Sui diritti civili, sin dai tempi di Ugo La Malfa, i repubblicani hanno spesso condiviso le battaglie radicali. Ma c’erano anche dei temi divisivi

Una certa deriva liberista in economia, specie negli anni Ottanta ai temi della Thatcher, di Reagan e della scuola di Chigago, non mi è mai piaciuta, anche perché nell’analisi c’era una certa superficialità. L’economia non è mai stata più di tanto al centro dell’analisi dei radicali e quell’approccio liberista un po’ scolastico ne è la certificazione.

Ma oltre che sui contenuti, c’erano differenze di interpretazione della politica?

Due cose non mi hanno mai convinto. La modalità con cui Pannella esasperava, per cui anche condividendo la meta finale, da laici seguivamo strade diverse. Si è sempre detto che era necessario esasperare le battaglie per portarle alla ribalta. Vero, ma quell’esasperazione ha creato degli anticorpi e delle resistenze che altrimenti non ci sarebbero state, specie nella parte moderata del Paese.

E l’altra differenza?

Era sul piano della politica tout court. Pannella aveva un atteggiamento da missionario, quasi ‘clericale’. Capisco sia un paradosso, ma serve a sottolineare il suo atteggiamento da santone, come lo ha etichettato anche Giuliano Ferrara, che inevitabilmente lo portava a una deriva settaristica. Il gusto della minoranza narcisistica della politica pannelliana finiva per avere più una logica di testimonianza che di coinvolgimento diretto. E questo pesava, perché quello che conta – almeno per me – è il governo delle cose e non il governo come obiettivo di potere. E governare le cose significa prendersi responsabilità dirette. La testimonianza è altra questione.

Nello specifico, invece, quali sono gli errori concreti?

Per esempio, mangiarsi la classe dirigente radicale che pur generosamente e intelligentemente aveva creato. Dal partito radicale sono passate tante figure che sono andate a sinistra, a destra e al centro. Si è sempre detto che lui si mangiava i suoi figli come Crono.

E la battaglia contro la “partitocrazia”?

Ha finito per anticipare, fomentare ed esasperare la battaglia contro la “Casta”, che poi è degenerata nel rifiuto dell’idea stessa di politica e ha portato vantaggi e consensi nell’area della protesta e dell’antipolitica dei grillini.

Se dovessi indicare il suo errore più evidente?

Il punto massimo di egocentrismo c’è stato dopo le elezioni europee del 1999, quando la lista Bonino prese l’8,45%. Proprio quando si cominciavano a profilarsi le crepe della Seconda Repubblica, quel capitale politico poteva bloccare lo schema del bipolarismo armato, che ha invece purtroppo continuato ad infettare perniciosamente la vita italiana. Quel capitale era intestato a Emma Bonino, che avrebbe potuto raccogliere un consenso più largo, ma Pannella soffocò quella potenzialità e l’errore di Bonino è stato quello di consentirglielo. Forse le strade avrebbero dovuto diverse.

In cosa ha sbagliato Pannella?

Quando su Bonino si crea uno zoccolo elettorale per un’iniziativa che non poteva essere strettamente radicale, ma la base per costruire un sistema di alleanze in grado di dare rappresentanza ai laici per la prima volta dopo Tangentopoli, tutto viene riportato e ristretto dentro il corsetto del partito radicale. Secondo me, è stata la più grande occasione mancata, non solo dei radicali, ma di tutta la politica durante la Seconda Repubblica

Da quel momento Pannella ha fatto più male che bene ai radicali?

Questo è ingiusto dirlo, perché Pannella è sempre stato così. I radicali che sono rimasti, come anche quelli che se ne sono andati, sapevano con chi avevamo a che fare. In questo senso, Pannella è sempre stato coerente negli anni. Quello era e quello è rimasto.

Certo, quando Bonino è venuta ospite a Roma InConTra, le hai detto che se non fosse stato per Pannella, saresti stato radicale anche tu.

Non avendo avuto casa politica dal 1992 in poi e non essendo riuscito a creare un soggetto che potesse scardinare il bipolarismo armato della Seconda Repubblica, il partito radicale avrebbe potuto essere un approdo. Ma i rilievi politici che ho fatto a lui sono profondi e sono più forti delle idiosincrasie personali o per atteggiamenti come aver portato in parlamento gente come Cicciolina o Toni Negri, la ‘violenza’ dei suoi digiuni o l’abuso dello strumento referendario

Avresti dato a Pannella la nomina di senatore a vita?

Sarebbe stato un giusto riconoscimento che gli si doveva assolutamente dare. Nella musica mi considero un ‘abbadiano’, ho conosciuto e stimato la personalità straordinaria di Rita Levi-Montalcini e sono contento che possa essere stato dato loro un riconoscimento. Ma credo che lo strumento dei senatori sia stato concepito come un riconoscimento a chi aveva lasciato un segno nella politica. Pannella, come altri, avrebbe meritato, perché la sua saggezza e la sua concretezza sarebbero stati un bene prezioso in Parlamento.

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