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  • 20160515 - Economia senza sprint

I numeri di una crescita lenta

Economia senza sprint

L'Italia cresce meno degli altri ma c'è chi finge di non vedere

di Enrico Cisnetto - 15 maggio 2016

Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. La perseveranza diabolica cui mi riferisco è duplice: da un lato quella dell’economia italiana che si avvia a perdere, per il secondo anno consecutivo, la “finestra di opportunità” (copyright Padoan) per agganciare definitivamente la ripresa, visto che a fine anno bene che ci vada aumenteremo il pil di un punto (dopo essere partiti con l’idea di fare +1,6%); dall’altro lato, quella di taluni (sempre meno, per fortuna) osservatori che, forse timorosi di finire nella lista nera dei gufi, continuano a giudicare positiva una congiuntura che ci vede crescere della metà della media euro e addirittura di un terzo della certo non irresistibile Spagna. Avremmo invece bisogno di trovare risposte a domande come: se il contesto internazionale cambia uniformemente per tutti, perché l’Italia cresce sempre meno degli altri? Se la diagnosi sullo stato di salute dell’Italia ci dice che siamo in una situazione di stagnazione-deflazione, non è che servirebbe da parte nostra un esame di coscienza sulle scelte di politica economica? Se il debito pubblico tocca con 2.229 miliardi il nuovo record storico, siamo sicuri che serva polemizzare sui vincoli europei o pietire qualche decimale di flessibilità?

Non solo. Se non fossimo distratti da (inutili) questioni politiche interne, ci saremmo accorti che il nostro export sta subendo gli effetti della frenata dei paesi “emergenti”. Non a caso l’export extra europeo in questo trimestre è il peggiore dal 2009, con 2,3 miliardi di minori incassi. Così, dopo la recessione del 2015 (-3,8% del pil), la crisi istituzionale in Brasile mette ora a rischio gli 8 miliardi di interscambi commerciali che abbiamo, mentre con la Russia (-3,7% nel 2015) nulla si muove, e il flusso commerciale verso la Cina risente del fatto che la loro crescita è scesa sotto il 7%. E non mancano nemmeno pericoli più ravvicinati: la produzione industriale dell’eurozona a marzo cala di 8 decimi (contro aspettative di crescita piatta), mentre quella di febbraio è stata ribassata da -0,8% a -1,2%. Con i pericoli economici (fino al 6% del pil britannico entro il 2030) e politici della Brexit che incombono, ci sarebbe da essere preoccupati anche senza considerare l’instabilità dei paesi del Nord Africa e l’emergenza migranti, che andrà inevitabilmente a crescere nel corso dell’estate.

Insomma, nonostante un minimo di ripresa dei consumi interni e degli investimenti (bene i macchinari di sostituzione) la “finestra di opportunità” si è già bella che chiusa. E non è un caso che il saldo degli investimenti esteri in Italia sia sceso dai quasi 13 miliardi del 2014 ai 2,4 del 2015 e non dia segni di recupero.

Quello che servirebbe, adesso, è la componente interna, come ha chiesto il Commissario Ue Moscovici. Il tema centrale, infatti, è utilizzare diversamente le risorse, privilegiando gli investimenti produttivi e non il sostegno drogato alla domanda. Insomma, la crescita e non la campagna elettorale. (twitter @ecisnetto)

 

 

 

 

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.