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Londra e il contagio anti-Europa

Rischio Brexit

Il pericolo dell'effetto domino con l'uscita di Londra dalla Ue

di Enrico Cisnetto - 08 maggio 2016

Dio salvi la Regina, ma soprattutto l’Europa. Il primo round della battaglia Brexit si-Brexit no, quello del voto in 124 comuni e rinnovo dei parlamenti di Scozia, Galles e Irlanda del Nord, si è chiuso con un successo degli europeisti a Londra (per via della nomina a sindaco del musulmano Sadiq Khan), e l’affermazione degli euroscettici nel resto del Paese, ma il percorso fino al referendum del 23 giungo in cui si deciderà sulla permanenza della Gran Bretagna all’interno dell’Ue, è ancora molto lungo. E, considerato che oltre alle amministrative italiane, il 22 maggio c’è il ballottaggio in Austria e il 26 giugno si vota in Spagna, sarà un mese decisivo per il futuro dell’Europa.

Prima di tutto a livello economico. L’Ocse ha stimato che una vittoria del “Brexit” costerebbe il 3% del pil britannico fino al 2020 e il 6% fino al 2030, per un costo medio annuo a famiglia di 3200 sterline, circa 4600 euro. Per la Confindustria britannica, si perderebbero circa 100 miliardi di sterline, mentre per il governo di Londra, a seconda delle modalità di uscita, si va da un minimo di 3,8 ad un massimo di 7,5 punti di crescita persi. Quale che sia la stima giusta, sarà comunque una catastrofe. Ma non solo. A inizio aprile il Fondo Monetario ha tagliato le stime di crescita per l’Ue di tre decimi (dal 2,2% di gennaio all’1,9%), come ha fatto anche Bruxelles (dal 2,1% all’1,8%). E già nel primo trimestre, il pil ha segnato un +0,4%, rispetto allo +0,6% previsto. Poi, con l’incombere del referendum, il valore della sterlina è sceso del 16%, un’oscillazione più adatta ad un paese emergente che del G8. Allo stesso modo, tra l’estate 2015 e il febbraio 2016 la Borsa di Londra ha perso il 20%.

E se il solo pericolo di Brexit già contabilizza danni, ci sono anche i rischi non preventivabili. Che succederebbe con dazi, fisco, leggi e norme diverse dal resto del Vecchio Continente se Londra diventasse a tutti gli effetti una piazza estera? Non sarebbero in difficoltà solo le aziende europee (molte italiane sono quotate alla London Stock Exchange, che è proprietaria di piazza Affari), ma anche quelle internazionali. Oltre a Obama, anche il premier giapponese Shinzo Abe ha dichiarato di temere la Brexit, perché “avrebbe poco senso” per le mille aziende nipponiche continuare investire nel Regno Unito 48 miliardi di euro l’anno, considerato che “quello che conta è la negoziazione di trattati commerciali con l’Ue”.

E se la fine di Schengen, secondo le previsioni della Commissione europea, costerebbe dai 5 ai 18 miliardi all’anno, non si possono poi non sottovalutare le conseguenze politiche della Brexit, a cominciare da un effetto domino. Il Parlamento finlandese, per esempio, ha già discusso una petizione di 53 mila cittadini per l’uscita dall’euro, la cosiddetta “Fixit”. La decisione si conoscerà tra qualche settimana, ma è probabile che in caso di vittoria della Brexit riprendano forza anche gli indipendentisti scozzesi e si rompa anche l’accordo di grande coalizione raggiunto in Irlanda tra gli oltranzisti (Fianna Fáil) e il partito più morbido verso Londra (Fine Gael). E, oltre all’Ukip di Nigel Farage, si rafforzerebbero l’ungherese Viktor Orbane, il polacco Andrzej, gli indipendentisti catalani e tutti gli altri movimenti antieuropei del continente. Se sarà così, lo vedremo al referendum del 23 giugno. Speriamo di no. (twitter @ecisnetto)

 

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.