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Dopo i numeri dell'Istat

Niente crescita

Pil al rialzo di pochi decimali, ma c'è poco da cantar vittoria, la crescita non decolla

di Enrico Cisnetto - 06 marzo 2016

Non giochiamo con i numeri. Nel tempo di una settimana l’Istat ha modificato per due volte i dati sul pil, riportando venerdì a +0,6% la stima definitiva per il 2015, dopo averla innalzata a +0,8% solo a inizio settimana dallo 0,7% che era stato indicato precedentemente. A conti fatti, è evidente che anche nella migliore delle ipotesi non c’è da cantare vittoria. Una crescita di otto decimi di punto, infatti, sarebbe inferiore a quella degli altri grandi paesi europei (Francia +1,2%, Germania +1,7%) della media dell’eurozona (+1,5%) e dell’Unione a 28 (+1,8%). Un ritmo insufficiente per una riduzione delle percentuali di debito e deficit – che si calcolano in rapporto al pil – e talmente lento che ci permetterebbe di tornare ai livelli pre-crisi (ante 2008) solo tra 10 anni.

Purtroppo, invece di una riflessione seria sullo stato di salute della nostra economia, in questi giorni è andata in scena una battaglia mediatica sui decimali che ha finito per mettere in secondo piano il progressivo indebolimento della già anemica crescita italiana. La polemica è nata perché nella prima stima – che sarà utilizzata da Bruxelles come dato di riferimento per il calcolo dei parametri di bilancio – l’Istat ha utilizzato un dato “grezzo”, cioè non corretto per gli effetti di calendario, come invece avviene di regola. Così, senza depurare dal conteggio finale i tre giorni lavorativi in più che ci sono stati nel 2015 rispetto al 2014, il +0,64% diffuso il 12 febbraio scorso (arrotondato per difetto a +0,6%) è cresciuto fino a 0,76%, che arrotondato per eccesso è diventato +0,8%. Ma non solo: ministero dell’Economia ed enti locali hanno comunicato di aver speso due miliardi di euro in meno nel 2014, costringendo quindi l’Istat a abbassare la somma assoluta della ricchezza prodotta da 1613 a 1611 miliardi. Così, abbassando il totale del 2014, che funge da termine di paragone, sul 2015 si è creato automaticamente un rialzo. Questa è, purtroppo, solo l’ultima di una lunga serie di modifiche, visto che a novembre l’Istat aveva previsto una crescita dello 0,9%, e che le differenze sono rilevanti, visto che tra la stima minima (+0,6%) e quella massima (0,9%) c’è un aumento del 50%.

Il tema, però, è che il cherry picking – scegliersi il dato che fa più comodo per sostenere una tesi – crea una confusione informativa che annacqua la percezione della realtà. Non c’è dubbio che nel 2015 l’Italia sia uscita finalmente dalla recessione ma anche che, da una parte, non abbia agganciato stabilmente la ripresa e che, dall’altra, il merito è da imputarsi a condizioni internazionali oltremodo favorevoli. Il deprezzamento dell’euro ha spinto l’export a +4,3%, mentre la politica monetaria espansiva della Bce ha ridotto di 5,9 miliardi la spesa per interessi sul debito nel 2015. Purtroppo, lo scenario con euro, petrolio e tassi bassi non è eterno. Ed è anche evidente che stiamo rallentando, passando dal +0,4% del primo trimestre, a +0,3% del secondo, +0,2% nel terzo e +0,1% nel quarto. Con la triste tegola dell’Ocse che taglia le stime per il 2016 da 1,5 a 1%. Ora, possiamo polemizzare sullo zero virgola e tentare di vedere il bicchiere mezzo pieno, come fa il Mef quando sottolinea che al netto delle scorte nel quarto trimestre il dato congiunturale segna +0,5%, ma la ripresa non arriva comunque solo per come si interpretano i numeri, specie se sono decimali. È stato lo stesso Renzi a dircelo, quando zittiva i “gufi” dello “zero virgola”. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.