Economia d'ambiente
La tutela dell'ambiente passa per lo sviluppo dell'economia. Ecco il vero obiettivo di Cop21
di Enrico Cisnetto - 29 novembre 2015
Se la finalità è tutelare l’ambiente, lo strumento deve essere di natura economica. Per evitare che la Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, che si apre domani, sia l’ennesimo flop servono misure concrete per rendere sempre di più gas e fonti rinnovabili come sostituiti di petrolio e carbone, abbandonando ogni estremismo paralizzate, per investire su tecnologia e innovazione, partendo dal presupposto che l’ambientalismo, quello sano, è sinonimo di sviluppo e non fa rima con fondamentalismo.
All’appuntamento, 18 anni dopo Kyoto, sembrano arrivare tutti concordi di poter dare una svolta, almeno nelle intenzioni: l’Onu denuncia una media di 82 morti al giorno per i 6500 disastri naturali degli ultimi 20 anni, lanciando l’allarme per 200 milioni di “profughi ambientali” entro il 2015; Stati Uniti e Cina, i grandi assenti di Kyoto, hanno raggiunto un insperato accordo; il Governatore della Banca d’Inghilterra paventa rischi drammatici per il sistema economico-finanziario derivanti dal surriscaldamento del pianeta; ben 155 Stati hanno già presentato le loro proposte. Per quanto sia possibile un accordo, però, è improbabile che esso sia vincolante per tutti. Anzi, c'è da scommettere che i controlli concreti sui limiti verranno delegati agli Stati nazionali. Poiché limitare di due gradi l’innalzamento delle temperature da qui al 2100 può costare fino al 4% del pil mondiale e considerato che ancora oggi i combustibili fossili godono, con 500 miliardi di dollari all’anno (di cui l’80% ai prodotti petroliferi), di 5 volte i sussidi delle rinnovabili, mentre nel 2013 Giappone, Francia, Regno Unito, Germania e Italia hanno bruciato il 13% in più del carbone che avevano usato nel 2009, è evidente che servono misure concrete e convenienti, non declamazioni solenni ma sterili.
La prima misura è il cosiddetto “carbon market”. Un mercato della co2 dove chi inquina di più compra certificati obbligazionari “emessi” da chi inquina di meno. Una sorta di aggravio per i più inquinanti che spingerà a investire in infrastrutture e tecnologie per ridurre la quantità di co2 prodotta. Ma per cambiare il mix energetico mondiale non basta far scendere il carbone. Occorre massimizzare l’uso del gas, anche attraverso un completo ridisegno delle reti transnazionali di infrastrutture per il suo trasporto. E occorre incrementare la produzione di energie alternative, secondo lo schema della strategia americana, cioè promuovere la tecnologia green attraverso “mitigation” e “adaption”. Perché più che i vincoli servono incentivi che rendano profittevole operare in modo ecologico, visto che è difficile imporre limiti alla crescita a paesi emergenti che hanno tassi di inquinamento “storici” assai più ridotti delle economie mature. Ma è anche vero che, quando ci sono possibilità di sviluppo, la musica cambia. Lo dimostra la Cina, che ha investito nel fotovoltaico 90 miliardi di dollari (quanto Usa e Ue messe insieme), con l’obiettivo che il solare arrivi a coprire il 20% del totale del loro fabbisogno energetico entro il 2030.
Ridurre le emissioni è solo un palliativo. E non servono proclami o buonismo. La soluzione è trovare fonti energetiche che non distruggano l’ambiente, facendo tornare i conti. All’Italia, tra l’altro, conviene. Economicamente e politicamente. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.