Pausa di riflessione
Stiamo assistendo ad una decadenza senza nessuna precedente età dell'oro
di Giorgio Cavagnaro - 04 novembre 2015
Ciò cui stiamo assistendo in questi ultimi giorni in Italia è a dir poco sconsolante.
Non si può neanche parlare di basso impero o di decadenza, in quanto nel nostro paese manca del tutto la materia prima necessaria: per una bella decadenza degna di tale nome bisogna ci sia stato, in passato, un periodo di splendore, un’età dell’oro da rimpiangere e da difendere con le unghie e coi denti.
Il che può succedere solo quando un insieme di persone parla la stessa lingua, vive sotto lo stesso cielo e, soprattutto, condivide una storia, una cultura secolare. Riconosce se stesso e la propria identità popolare con chiarezza, senza tentennamenti.
In tal modo i successi, vissuti e sentiti come conquiste comuni, sono utilizzati per un salutare accrescimento di autostima. Le sconfitte invece, elaborate e trasformate in provvidenziale carburante per un pronto riscatto.
Non è purtroppo il nostro caso.
E’ evidente come l’Italia del 2015 stia affrontando la crisi più grave dell’Occidente dal dopoguerra in qua, priva dell’ equipaggiamento elementare, primario: lo spirito di gruppo della squadra che, rientrata negli spogliatoi con un pesante passivo alla fine del primo tempo, si guarda negli occhi e reagisce alla strigliata dell’allenatore ritrovando forza e orgoglio in quantità adeguata per ribaltare il risultato.
Parafrasando il magistrato Raffaele Cantone, si potrebbe dire che è non solo la città di Roma ma l’Italia intera, a non avere gli anticorpi adatti a combattere e vincere la battaglia contro il cancro che la divora dall’interno e che ha due facce: la corruzione di stampo mafioso capillarmente diffusa da una parte, la tendenza al cupio dissolvi nichilista dall’altra.
E’ innegabile che l’esempio della capitale sia sconfortante. I suoi recenti sindaci da comica finale ricordano la celebre sequenza del capolavoro disneyano “Fantasia”, in cui agili ippopotami in tutù mettono in scena una memorabile coreografia della “Danza delle ore” di Ponchielli. Non mancano naturalmente, sullo sfondo, i templi antichi e, soprattutto, i famelici coccodrilli in agguato.
La mediatizzazione ormai totale della politica ha fatto sì che alle qualità intrinseche (e necessarie) dell'uomo politico si siano sostituite quelle tipiche dell'uomo di spettacolo. Il politico, con la leggerezza di un presentatore in giacca di paillettes, danza coi finti lupi che officiano il quotidiano rito della comunicazione in estenuanti balletti-talk show televisivi ,privi di costrutto se non quello di trasformare l’elettorato in pubblico. Per di più acritico e turbolento, tale e quale a quello dell'avanspettacolo d'antan, pronto all’insulto becero e al lancio di gatti morti sul proscenio.
Difficile uscire da situazioni del genere, se non puntando sulle caratteristiche per le quali il nostro paese è ancora, nonostante tutto, ammirato e invidiato: il retroterra culturale millenario, la bellezza oggettiva e struggente dei suoi panorami e delle sue città d’arte, l’eccellenza di alcuni prodotti inimitabili, la bontà dei suoi cibi sublimi, non a caso sotto costante attacco.
Per fare questo però è necessario un ingrediente fondamentale, che nazioni globalmente più arretrate della nostra dal punto di vista economico come la Grecia, il Portogallo, le giovanissime democrazie dell’ex patto di Varsavia possiedono, mentre a noi fa difetto: l’identità nazionale e, di conseguenza, la fiducia nella propria capacità di progredire remando insieme verso obiettivi comuni.
Il coraggio uno non se lo può dare, diceva Alessandro Manzoni. Però fermarsi un attimo a ragionare, forse sarebbe possibile. Anzi, doveroso.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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