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  • 20151004 - La sfida sul clima di Parigi

Il vertice sui cambiamenti climatici

Clima e business: la sfida di Parigi

Tutela dell'ambiente e crescita economica ciò che serve è trovare una "sintesi virtuosa"

di Enrico Cisnetto - 04 ottobre 2015

Immaginatevi la scena. Ad una cena presso i Lloyds di Londra, dinanzi ad una platea di assicuratori certo non inclini a pulsioni ambientaliste, Mark Carney, Governatore della Banca d’Inghilterra, parla dei cambiamenti climatici in atto, tracciando un quadro a dir poco tragico delle loro conseguenze per il futuro del pianeta, ma anche per gli effetti sulla stabilità dell’economia e dei mercati finanziari mondiali. Carney mette l’accento sul moltiplicarsi di eventi meteorologici catastrofici, sottolineandone i costi finanziari (soprattutto assicurativi), e aggiunge che la sfida di oggi impallidisce di fronte a quella che potrebbe arrivare in futuro. Ai piani alti della City è corso un brivido, e il pensiero è andato al vertice COP 21 che si terrà dal 30 novembre a Parigi sotto l’egida dell’Onu, che 18 anni dopo Kyoto e 3 dopo Doha dovrà essere capace di avviare un radicale cambiamento del mix energetico planetario, facendo scendere il carbone e salire le energie alternative, ma soprattutto massimizzando l’uso del gas.

Credo che la provenienza dell’allarme ci dovrebbe indurre non ad ingrossare le già vaste fila del “partito del no”, ma a trovare una sintesi virtuosa tra tutela dell’ambiente e crescita economica, partendo dal presupposto che la contraddizione tra profitto e ambiente è solo apparente e certamente malintesa. A Parigi, 195 paesi proveranno a siglare il primo accordo vincolante e universale sul clima. Ma perché non sia un fallimento come le precedenti esperienze, bisognerà evitare di contrapporre “l’ecologia delle anime belle” allo “spietato profitto del capitale”. Il lodevole obiettivo di limitare l’innalzamento della temperatura media globale a due gradi centigradi entro il 2020, può essere raggiunto solo rifuggendo ogni estremismo ecologista e promuovendo iniziative utili nella pratica. Il caso Volkswagen dimostra che le emissioni delle autovetture si riducono più con auto elettriche o ibride che non limitando forzatamente le emissioni dei diesel. Il fotovoltaico, per arrivare a produrre la quasi totalità dell’energia elettrica italiana, ha prima dovuto trasformarsi in un redditizio settore di attività (anche se con mille errori). Anche la differenziata non può essere lasciata alle sole buone intenzioni, ma deve essere un business. Profitto non significa automaticamente inquinamento, nemmeno per le grandi multinazionali del petrolio. Prendete l’Eni. In 4 anni ha ridotto del 27% le emissioni di gas serra, valorizzato il ruolo del gas naturale, cominciato a convertire impianti di raffinazione (Porto Torres, Gela, Porto Marghera) in siti da cui nasceranno prodotti “green” o biodiesel. E non per beneficenza, sviluppa sistemi energetici a basso uso di carbone e promuove iniziative off-grid (che garantiscono elettricità a zone remote dalle reti) con i paesi in via di sviluppo produttori di idrocarburi. Senza dimenticare le attività sul “gas flaring” (il gas nocivo che fuoriesce insieme al petrolio) per trasformare gli scarti in investimenti. A voler chiudere con il dolce, il Gruppo Ferrero si è dato obiettivi concreti di sviluppo agricolo sostenibile, tanto che nell’ultimo anno le emissioni  di CO2 per unità di prodotto sono calate del 5% e il consumo di acqua del 5,9%. L’ennesima dimostrazione che si può fare impresa con un occhio al profitto e un altro all’ambiente senza essere strabici. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.