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Da Wall Street a Shanghai

La "normale" volatilità delle borse

Abituiamoci al su e giù dei listini, a patto che non si distrugga l'economia reale

di Enrico Cisnetto - 30 agosto 2015

New normal. A oltre 7 anni dallo scoppio della grande crisi mondiale, non dobbiamo abituarci solo all’affievolirsi della spinta della globalizzazione, all’anemia dell’economia europea (a quella italiana lo siamo da un pezzo) o al cambiamento dei consumi e degli stili di vita. No, i paradigmi post-crisi hanno anche imposto una “nuova normalità” alle Borse e ai mercati finanziari del pianeta. In questi giorni a Jackson Hole si riuniscono i banchieri mondiali di mezzo mondo, ma con tre assenze che pesano. Oltre alla defezione, un po’ scontata visto il momento, di Zhou Xiaochuan, capo della banca centrale cinese, non ci saranno né Janet Yellen della Fed né Mario Draghi della Bce. Tra questi ultimi due, a quanto ci risulta, oltre ad una profonda sintonia personale, esiste un patto di ferro per mantenere aperti i rubinetti della liquidità al di qua e al di là dell’Atlantico. Se ciò è comprensibile per l’Europa – grazie al “bazooka” della Bce gli spread sono rimasti bassi anche in questi giorni di passione (quello italiano è a 118) – bisogna analizzare attentamente le ragioni statunitensi.

Gli Usa crescono ininterrottamente da anni (finita la breve recessione post Leehman), la disoccupazione è al 5,3% e il pil del secondo semestre 2015 segna un invidiabile +3,7%. Eppure, dopo aver terminato il quantitative easing nel 2014 (per un totale di 4.500 miliardi di dollari), la Fed continua a posticipare il rialzo dei tassi atteso da mesi. Dopo le politiche monetarie espansive di questi anni (comprese quelle di Regno Unito, Giappone e Cina) ci sono oggi in circolazione derivati pari a 9 volte l’ammontare del pil planetario, il 25% in più della massa esistente al momento della crisi del 2008. Perché la Fed persevera a mantenere i tassi vicini allo zero, con il rischio di nuove bolle borsistiche? Innanzitutto perché i contraccolpi del passaggio da una crescita straordinaria ad una crescita sostenibile in Cina devono ancora farsi sentire completamente, per cui meglio predisporre le opportune contromisure. Inoltre, il crollo di Brasile (-1,9% nel secondo semestre) e Russia (-4,6%) dimostrano quanto la crescita globale debba ancora essere sostenuta. Inoltre, tassi più elevati creerebbero problemi sia alle imprese che hanno contratto prestiti (per la Banca Mondiale dal 2008 i debiti societari degli emergenti sono cresciuti del 106%) che ai debiti pubblici degli stati nazionali (avendo raggiunto i 55 mila miliardi di dollari sono quasi raddoppiati dal 2008). Le politiche ultraespansive di questi anni hanno permesso di curare le ferite della crisi, ma di denaro a basso costo c’è ancora molto bisogno. E poi tutta l’attesa sul rialzo dei tassi americani riguarda, al massimo, un punto in sei mesi (da 0,25% a 1,25%): più una questione di forma, un segnale, che vera sostanza.

Allora, chi soffre da “panico da crollo” borsistico, dovrebbe tranquillizzarsi: l’economia non si misura solo sulla capitalizzazione del listino. E poi, via, il “lunedì nero” è già solo un (brutto) ricordo, con tutte le perdite recuperate in una settimana, senza dimenticare che in un anno la Borsa di Shangai aveva guadagnato il 100%. Crisi di mezza estate, dunque, arrivata e scomparsa con la velocità di un temporale con il sole. Ma attenzione, potrebbe essere la prima di molte. Forse sarà il caso di adeguarsi ad una nuova “normale” volatilità delle Borse e dei mercati finanziari. L’importante è che questa consuetudine non distrugga l’economia reale. (twitter @ecisnetto)

 

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.