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Il ritardo del Sud

Mancò la cultura, non i soldi

Dottori, burocrati, emigrati. Riflessione post-mediatica sulle colpe del Meridione

di Friedrich Magnani - 16 agosto 2015

Il 30 luglio 2015, il Premier Matteo Renzi, con l’uscita del Rapporto Svimez sull’Economia del Mezzogiorno, scopre la regressione economica del Meridione. Forse non ce n’eravamo accorti. Diciamo che è stato un po’ come scoprire l’acqua calda. Eppure, sono seguite urgenti convocazioni, dichiarazioni allarmanti, lettera dello scrittore Saviano, etc, etc. Insomma, una vera emergenza, in piena estate. 

Siamo un Paese curioso! Sono vent’anni e più che il Sud Italia è ridotto ai minimi termini, salvo alcune eccezioni, e solo ora ce ne accorgiamo? Comunque, ora che il Ferragosto si avvicina, il rapporto si allontana e tra breve, riposerà su uno scaffale.

La solita tiritera è che è lo Stato ad essersi dimenticato del Sud, privandolo di investimenti. In realtà il Sud Italia ha ricevuto molti più finanziamenti del Nord. Semplicemente, i soldi non sono andati nella direzione giusta.

Perché non si affronta il vero problema che attanaglia il meridione, quello culturale?

“Dottore, dottore”, dice l’agente Catarella al Commissario Montalbano…! Ecco un esempio culturale tipico. La riverenza verso un laureato. A tutti, sarà capitato di sentirsi chiamare dottore, per il semplice fatto di essere laureati. Siamo l’unico Paese della Terra che chiama “dottore” quello che viene considerato nel mondo anglosassone e quindi ovunque, come colui che ha ottenuto un bachelor’s degree e non un doctorate. Non che questo cambi la situazione. Infatti paradossalmente in Italia, i laureati sono i più disoccupati.

E’ un retaggio del nostro passato sottosviluppo. Lo stesso che ci fa chiamare onorevoli dei semplici deputati. Ma c’è un altro fatto curioso. Questo retaggio ci consegna in eredità due frasi celebri, molto in voga nel nostro Paese: “ma lei non sa chi sono io” e “chi le ha dato il mio numero?". Provare per credere. La prima è in uso a chi si sente importante e noto e che vede intralciare la propria onnipotenza dalla semplice applicazione degli obblighi di legge, la seconda è la tipica affermazione del piccolo burocrate di provincia che vede esautorata la sua piccola ma ben affermata autorità. Questi due aspetti sono strettamente legati. Il primo è la conseguenza del secondo. Il piccolo burocrate di qualsiasi ufficio, tiene più alla propria considerazione che al rispetto per il lavoro ben svolto. La conseguenza è che lo può superare solo chi ha molta determinazione e mezzi.  Ma non tutti possono permetterselo. Così tanta povera gente permane nella rassegnazione.

Ecco, il sentimento che più contraddistingue il Sud, la rassegnazione. Quella per un sistema di trasporti inesistente, per una sanità pubblica inefficiente, per una burocrazia corrotta. Ma la voglia di lavorare non manca. E’ ancora possibile vedere operai anziani o giovani che lavorano di domenica. Quante gente del Sud è andata a lavorare all’estero. Sono tra le persone più apprezzate per la responsabilità che hanno nel proprio lavoro e per lo spiccato senso imprenditoriale. Non è la voglia di lavorare che manca, ma tutto il resto. Per questo è sbagliato paragonare il Sud Italia alla Grecia.

Poi il Sud, ha un economia di sussistenza inesistente nel nord Europa. Il sapere vivere di poco, dei prodotti della terra e spesso, di molta solidarietà.

 

La via d’uscita c’è. E’ cambiare la cultura sbagliata, non quella buona. Nel 2015, in un mondo globalizzato, con il web in grado di rivoluzionare le coscienze, è impensabile vedere la rassegnazione della gente comune. Bisogna sradicare questo sentimento di sudditanza ereditato dall’epoca borbonica. Dare coscienza che la svolta viene da una rivoluzione culturale dal basso, con la consapevolezza dei propri diritti.

Non sono i soldi che mancano, ma il sapere che la propria determinazione assieme a quella degli altri può cambiare le cose.

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