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  • 20150727 - Ilva senza politica industriale

Non solo Taranto

Ilva senza politica industriale

Il siderurgico pugliese deve essere il primo tassello di una strategia industriale nazionale

di Enrico Cisnetto - 26 luglio 2015

D’acciaio, ma pur sempre la punta di un iceberg. Il rinvio a giudizio per 44 persone e 3 società nella vicenda Ilva è sì l’inevitabile conseguenza della degenerazione dei contrasti tra politica e magistratura, che da tre anni va in scena quotidianamente a Taranto, a sua volta figlia di patologie non sanate con una generale riforma della giustizia. Ma è anche lo specchio fedele della ventennale assenza di politica industriale, e il riflesso di interventi emergenziali, indecisionismi vari e intollerabili litigi istituzionali.

Dunque, se si vuole provare a metterci una pezza, sarà bene non confondere gli effetti nefasti della malagiustizia con le cause, antiche, del problema. A cominciare dalla privatizzazione dell’Italsider, una buona idea realizzata male. L’azienda finì ai Riva, famiglia priva della cultura imprenditoriale necessaria per una sfida del genere. Ricordo personalmente che il patron Emilio annotava la contabilità a matita su un libricino che teneva in tasca con le voci del dare e l’avere. E se la privatizzazione nacque male, crebbe anche peggio. Nel corso del tempo le istituzioni non hanno mai imposto ai Riva alcuna priorità, a cominciare da una precisa ed efficace bonifica di natura ambientale. Si è sempre vissuto alla giornata, con la politica attenta a non perdere i voti derivanti dall’occupazione garantita, e la proprietà a raccogliere profitti senza una strategia di un qualche respiro; anni in cui tutti – politici locali e nazionali, proprietari, dirigenti, perfino gli stessi lavoratori come dimostra il referendum del 2013 – hanno sempre e solo pensato al breve periodo, salvo poi svegliarsi in un incubo.

Gli arresti del 2012, l’entrata in scena della magistratura e i successivi sequestri non hanno cambiato la storia, l’hanno drammaticamente peggiorata. Passati tre anni, infatti, si registra una perdita di 1,5 punti di pil (circa 20 miliardi tra crollo della produzione, deficit commerciale, disoccupazione e meno tasse) e una disfida permanente tra giudici e governo, con l’esecutivo che ha per ben nove volte tentato di aggirare gli atti dei giudici per decreto, salvo poi incappare nella questione di costituzionalità. Ora speriamo che il processo faccia il suo corso, ma se la magistratura non annovera le “conseguenze economiche” della sua azione tra le sue priorità, è ovvio che dopo tre anni di blocchi e sequestri, siamo giudiziariamente solo all’inizio del primo grado ed economicamente vicini alla catastrofe. Un conflitto tra poteri dello Stato in cui gli attori non si sono accorti che in gioco non c’è soltanto il destino dell’Ilva, ma quello dell’intera industria italiana.

Ora, fermo restando che i problemi andavano certamente affrontati prima, bisogna porsi una domanda: quale sarà il ruolo della seconda acciaieria d’Europa? Può l’Ilva ancora diventare la capofila di una moderna filiera dell’acciaio made in Italy? Domandandoci prima quale capacità competitiva siamo in grado di sprigionare sui mercati internazionali per poi decidere come ristrutturare l’Ilva e come rimetterla sul mercato. Se riuscissimo a istituire una “strategic room” dove mettere intorno ad un tavolo gli imprenditori, le banche, gli strumenti pubblici già attivi e quelli pubblico-privati da inventare, per definire un’efficace e duratura strategia industriale, chissà che fatta a Taranto poi non si possa fare in tutto il Paese. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.