L'Europa imperfetta
Se si accetta di vivere assieme in un condominio bisogna accettarne le regole. Poi si potrà pensare di riscriverle, assieme.
di Friedrich Magnani - 17 luglio 2015
Quello che colpisce del discorso di Tsipras al parlamento greco, nelle ore della notte che ha visto la sofferta approvazione delle richieste dell’Eurosummit, è la parola “responsabilità”, (una parola sempre più desueta) e l’aver ammesso che il vero nemico della Grecia è in casa propria.
Tsipras ha voluto tirare la corda fino alla fine, sperando, con un Paese al collasso, di mettere l’Europa al muro e di farle accettare un salvataggio in extremis alle condizioni richieste dalla Grecia. Ha ottenuto esattamente il contrario. Il referendum gli si è ritorto come un boomerang, non facendo altro che minare la fiducia tra leaders e Paesi euro-membri.
Il più grosso errore diplomatico è stato quello di aver giocato la partita sul piano personale, tacciando per criminali i Paesi creditori. Le dimissioni di Varoufakis seguite dalle sue parole “porterò con orgoglio il disgusto dei creditori” sono state il detonatore della bomba “Schäuble”. Tutte queste affermazioni assieme all’indizione a sorpresa del referendum, hanno indebolito la posizione negoziale della Grecia. Chi conosce le regole degli accordi internazionali sa che una proposta discussa a livello sovranazionale non può essere passata al vaglio di un referendum popolare, ma solo dei parlamenti nazionali. In sintesi, l’elemento fondamentale che è venuto a mancare, è la fiducia. Questo spiega la durezza dell’accordo.
L’Europa è comunque uscita dal cul de sac, anche se con le ossa rotte. Jean Monnet aveva l’abitudine di dire che quando l’Europa ha una crisi, ne esce rafforzata. Come non esiste una famiglia o un condominio perfetto, così non può esistere un’Europa perfetta. Essa è lo specchio dei nostri egoismi, dei nostri nazionalismi politici ed economici. Ognuno di noi, come Paese membro, ha una colpa. Finché pretenderemo di dar conto della politica esclusivamente al nostro elettorato, avremo poco a che pretendere dall’Europa. Ed è fuorviante pensare che la Germania la domini. Piuttosto, è il vuoto di leadership ad aver spinto la Germania a parlare per l’Europa. L’ottusità tedesca poi è storicamente innegabile e certo non basterà la Grecia a scalfire il manicheismo dello spirito luterano. Ma chi conosce la storia sa perché la Germania ha il terrore del debito. Non è poi così lontana l’epoca degli anni’20 che vide una Germania weimeriana alla fame, stremata dalle riparazioni di guerra e con una inflazione alle stelle che portò i tedeschi a fare la spesa con banconote da miliardi di marchi. Quell’epoca fu l’inizio della fine, con l’elezione (purtroppo democratica) - nel decennio successivo, di un austriaco che volle far uscire la Germania dall’umiliazione inflitta per le restrizioni territoriali (del Trattato di Versailles) e le interminabili riparazioni di guerra, ree di aver provocato la crisi economica.
Molti hanno salutato l’esito del referendum greco come un sussulto di democrazia. Tuttavia è lecito pensare che a volte il popolo può votare, inconsapevolmente, contro i suoi stessi interessi. La volontà popolare può essere influenzata e manipolata, soprattutto nei periodi di crisi. Un sussulto di democrazia poi verso chi e che cosa? La dittatura della Troika ? Ma siamo noi ad avergli dato i poteri, proprio per scongiurare gli esiti nefasti del populismo sulle economie nazionali. Non direi che Mario Draghi abbia le caratteristiche di un despota. Anzi, la storia gli renderà onore e un giorno verrà ricordato per la sua lungimiranza politica. Un Europa economica è purtroppo l’unica alternativa al caos di Paesi che guardano con affanno ed esclusivamente, alla temperatura sentimentale del proprio elettorato.
Ora la partita è tutt’altro che finita. L’accordo deve superare la lunga fase di negoziato per lo sblocco dei fondi. Ma un principio deve rimanere saldo. Se si accetta di vivere assieme in un condominio bisogna accettarne le regole. Poi si potrà pensare di riscriverle, assieme. La Grecia non sta pagando per colpa dell’austerità, avendo già ricevuto più di duecento miliardi dall’Europa, bensì per non aver riformato, anche culturalmente, il proprio Paese. Un po’ di onestà intellettuale non guasta. Pochi ricordano che nel 2001, la Grecia ottenne già la prima grazia dall’Europa con un’entrata nell’eurozona esente dal rispetto dei parametri di Maastricht. Di chance gliene sono state date tante. Ora il futuro è nelle loro mani.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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