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Il referendum in Grecia

Perché tifo per il si

Meglio il tallone della trojka e gli spiragli di ripresa o le promesse non mantenute di Tsipras?

di Giuliano Cazzola - 05 luglio 2015

Ammesso e non concesso che il referendum greco sia una cosa seria, auspico una vittoria netta dei sì. I limiti della consultazione sono noti: il testo del quesito (a parte gli errori di stampa) è praticamente sconosciuto (pare che sia possibile trovarne traccia solo su internet in un Paese che ne fa un uso molto ridotto, agli ultimi posti in Europa); la proposta su cui gli elettori sono chiamati ad esprimersi è stata ritirata dalla Ue; non è stata concessa, ai 200mila greci che vivono all’estero, la possibilità di votare nelle ambasciate; il tempo a disposizione (una settimana) è stato troppo breve, anche con riguardo alla regole dettate dall’Ue in tema di referendum. Inoltre, negli ultimi giorni, sono state fatte alcune migliaia di assunzioni con evidenti finalità clientelari, senza peraltro poter assicurare la regolare corresponsione degli stipendi.

In altri tempi, la Grecia moderna (Platone, Aristotele, Alessandro Magno e quanti altri hanno dato un fondamentale contributo ai valori della civiltà occidentale appartengono ad un passato sepolto da millenni) sarebbe stato definito un Paese da operetta. In pratica, non esistono né un’economia privata, né un sistema fiscale. Gli armatori sono sostanzialmente esentati dalle imposte per evitare che trasmigrino in paradisi fiscali. Una delle principali attività è il contrabbando, dalle sigarette al petrolio, che comincia nei porti dove si scarica più greggio di quello che viene fatturato. Il resto lo fanno le autocisterne che stracciano la fattura una volta consegnata la benzina. I grossi capitali se ne sono già andati dal Paese rendendo velleitaria ogni ipotesi di imposta patrimoniale (che è musica dolce alle orecchie della sinistra). Il resto lo hanno fatto i piccoli risparmiatori in fila davanti ai bancomat. I greci non hanno mai pagato nessuna imposta sulla casa, prima che la imponesse la trojka. L’erario greco vanta crediti fiscali nei confronti di cittadini e imprese per un ammontare tra i 65 e i 70 miliardi (in un Paese di 11 milioni di abitanti). Le frequenze tv sono concesse gratuitamente a grandi imprenditori finanziatori della politica (altro che Silvio Berlusconi!). In sostanza, l’economia greca poggia sul ceto parassitario del pubblico impiego e sulla spesa pubblica, a partire da un sistema pensionistico molto generoso, la cui irragionevole difesa rappresenta il principale motivo di contrasto con la Ue e con le altre istituzioni internazionali. E qui andrebbe posta una prima domanda ad Alexis Tsipras (il sosia di Giovanni Floris), che fa appello ad un’Europa dei valori, innanzi tutto orientata al principio della solidarietà. Ma chi lo va a spiegare (forse il ministro Poletti che vuole cambiare la riforma Fornero?) ad un operaio tedesco, il quale va in quiescenza a 67 anni, che per essere europeo e solidale deve pagare – con le sue tasse – la pensione ad un burocrate greco di 58 anni ?

All'inizio della crisi, nel 2009, l'Unione europea abbandonò a se stessi i Paesi baltici che per fortuna se la sono cavata da soli. A favore della Grecia - nonostante che i suoi Governi abbiano truccato i conti pubblici alla stregua dei bilanci della Parmalat di Calisto Tanzi – sono stati varati diversi piani di salvataggio per un ammontare (dal 2010) di 354 miliardi di euro (si veda il dettaglio sul Corriere della Sera di ieri). Eppure, è stato il dissesto di quel Paese ad aprire una fase nuova nella crisi internazionale. Dopo le vicende finanziarie e le conseguenze dei titoli tossici è toccato agli Stati di rischiare la bancarotta; sono stati i conti pubblici a determinare il panico nei mercati finanziari. L’attenzione degli investitori si è spostata sul debito sovrano, costringendo i Governi a dure misure di risanamento per garantirsi la sottoscrizione dei titoli pubblici ad interessi tendenzialmente sostenibili; e di conseguenza, mortificando l’economia reale con nuove tasse. Basti pensare al caso italiano. Il quadro macroeconomico, negativo per ben 5 punti di Pil nel 2009, era dato in ripresa di 1,2 punti nel 2010; l’export crollato di quasi il 20% nel 2009, era segnalato in ripresa di 7 punti nell’anno successivo. Ma il timore del ‘’contagio’’, prodotto dalla crisi finanziaria innescata dalla Grecia e dai suoi effetti sull'euro, è divenuto il denominatore comune dell'economia dell'Eurozona, stroncando sul nascere i primi segnali di ripresa economica. Certo, sarebbe ingeneroso attribuire interamente a Syriza questo stato di cose, di cui portano la responsabilità i precedenti esecutivi di centra sinistra, di centro destra e di ‘’solidarietà nazionale’’.

I fatti di questi mesi hanno dimostrato, tuttavia, che l’attuale coalizione di governo non solo non intende aggredire seriamente tali limiti strutturali, ma, in pochi mesi, ha buttato all’aria anche il lavoro compiuto sotto la tutela della trojka, che aveva aperto persino prospettive di crescita più lusinghiere di quelle italiane. In pochi mesi in Grecia hanno gettato nell’immondizia 3 punti di Pil. Hanno riassunto le bidelle, le inservienti dei ministeri, i giornalisti della tv di Stato. Hanno rinnovato un generoso contratto dei dipendenti dell’ente nazionale dell’elettricità. Nello stesso tempo hanno costretto le famiglie a vivere con 60 euro al giorno (da lunedì non ci saranno più neppure quelli) e i pensionati ad accontentarsi di 120 euro. Per orientarsi nel voto di oggi basterebbe che i greci si ponessero una semplice domanda: si viveva meglio sotto il tallone della trojka o adesso, con le promesse non mantenute di Tsipras ?

Questi argomenti sarebbero sufficienti a giustificare una vittoria dei sì. Chi scrive, tuttavia, si augura che questo risultato sia l’inizio della fine di Tsipras e del suo Governo. E serva da dura lezione per tutti quei movimenti e partiti che ipotizzano, nell’Eurozona, una linea strategica alternativa a quella condotta fino ad oggi con la leadership tedesca. Cedere alle pretese della band of brothers di Atene significherebbe mettersi nelle mani dell’ultimo dei ‘’Masaniello’’ che pullulano nel Vecchio Continente. La fine dell’euro e dell’Unione non sarebbe provocata da un’auspicabile Grexit, ma passerebbe da una nuova Monaco della resa, della rinuncia e del disonore. Oggi, la vera discriminante è l’idea dell’Europa, a cui si oppone la retorica della sovranità nazionale. ‘’Il patriottismo – ha scritto Samuel Johnson - è l’ultimo rifugio delle canaglie’’. Di destra e di sinistra, aggiungiamo noi.

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