La ripresa non c'è ma si vede
Pur usciti dalla recessione, all'orizzonte non c'è crescita, ma solo pericoli.
di Enrico Cisnetto - 15 giugno 2015
Al contrario del trucco nella magia, la ripresa economica “non c’è, ma si vede”. Tutti ne parlano come se esistesse, salvo premettere aggettivi riduttivi (parziale, leggera, accennata, instabile, ecc.) se proprio si vuol essere prudenti. Si da per scontato che finita la recessione – quella sì, è davvero terminata – ci sia il rilancio, senza considerare che invece esiste un vasto territorio paludoso di “non crescita”. Ed è proprio lì che, ahinoi, siamo finiti: in piena stagnazione. Gli ultimi dati sulla produzione industriale lo confermano. Confindustria prevede +0,1% per maggio: cosa esigua, soprattutto se combinata con i dati di aprile rispetto a marzo, dove l’eurozona segna +0,1%, mentre l’Italia perde lo 0,3%. Un calo che, sommato a quello di gennaio (-0,7%), annulla il punto guadagnato tra febbraio e marzo. In termini tendenziali la situazione è anche peggiore. Sia perché la zona euro guadagna lo 0,8% mentre noi solo lo 0,1%, sia perché da inizio anno siamo in territorio negativo (-0,1%), nonostante il settore dell’automobile tra gennaio e aprile sia salito del 41% rispetto allo stesso periodo del 2014. A parte le quattro ruote e i beni strumentali (+3%), insomma, con i beni intermedi a -1,7% e quelli di consumo a -1,2%, la produzione industriale non riparte. D’altra parte, di fronte al 25% di investimenti perduti dal 2007 al 2014, il rimbalzino di 1,5% è un pannicello caldo. E con la pressione fiscale che resta asfissiante (43,8% nominale, oltre il 50% quella effettiva) e con la questione giustizia irrisolta, è irragionevole prevedere una crescita minimamente significativa degli investimenti. Così come è preoccupante che, nonostante l’inflazione quasi a zero e gli 80 euro, i consumi nel primo trimestre di quest’anno siano calati dello 0,1%.
E dal fronte dell’occupazione che notizie ci sono? L’Inps ha annunciato 286 mila nuovi posti di lavoro in più nei primi quattro mesi dell’anno rispetto al 2014. Ora, è ovvio che a fronte dei corposi incentivi in vigore da gennaio e della maggiore flessibilità garantita dal Jobs Act, le imprese siano spinte a qualche assunzione, ma il risultato è modesto, pur segnando un’inversione di tendenza. D’altra parte, senza crescita non si crea nuova occupazione, ma al massimo si stabilizzano posizioni esistenti, con il pericolo che, con lo stesso fatturato e più addetti, diminuisca l’indice di produttività. Indice che da noi è già più basso che in qualunque altro posto d’Europa, Grecia esclusa.
E, infatti, non cresciamo. E quel poco, è meno degli altri. Lo 0,3% di pil guadagnato nel primo trimestre non deve illudere. Se anche a fine anno dovessimo confermare il +0,6% previsto del governo (o il più realistico 0,5% ipotizzato dell’Fmi), sarebbe segno di stagnazione, non di ripresa. Primo perché cresceremmo un terzo dell’eurozona, mentre Bruxelles aveva precedentemente stimato la metà, segno che mentre gli altri accelerano, noi rallentiamo. E secondo perché con questo ritmo, ci vorranno almeno 10 anni per tornare ai livelli pre-crisi.
Insomma, con petrolio, euro e tassi bassi e liquidità illimitata non ci si può accontentare di qualche decimo di punto. Anche perché con il default della Grecia dietro l’angolo, i mercati finanziari potrebbero tornare a impazzire da un momento all’altro, come già avvenuto in chiusura di settimana. E, a quel punto, la ripresa diventerebbe un miraggio. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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