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Public Policy

Proposta sul debito

Non solo Grecia

Utilizzare il patrimonio pubblico dei singoli Stati per federalizzare il debito pubblico

di Enrico Cisnetto - 08 febbraio 2015

Non solo Grecia. Anche nel caso (auspicabile) in cui il governo Tsipras arrivi ad un accordo con i creditori, scongiurando un’imminente uscita di Atene dall’euro, avremmo tolto la pagliuzza ma ci resterebbe la trave. Dal 2007 il debito pubblico mondiale è quasi raddoppiato, raggiungendo i 55 mila miliardi di dollari, con un ritmo di espansione superiore ad ogni crescita possibile (studio McKinsey). Con un aumento del 40%, l’eurozona non fa eccezione: con i suoi 10.500 miliardi di dollari, il debito è oggi in media il 92,7% del pil, mentre a fine 2007 era al 66,4%, il 40% in meno. Certo, una così enorme montagna di debiti (al cui cospetto i 315 miliardi ellenici sono un topolino) si è innalzata sia in seguito alla crisi finanziaria, sia per effetto di una spesa per interessi che spesso supera anche l’avanzo primario e autoalimenta il debito (vedi Italia).

In questo contesto, la vicenda greca evidenzia, da un lato, che ridurre il debito applicando in modo cieco la dottrina dell’austerità acuisce solo la spirale recessiva e, dall’altro, che è inutile intervenire quando la frittata è fatta. A questo si aggiunga che con l’ingresso ufficiale dell’eurozona in deflazione e con la crescita che continua a latitare (per la Bce, solo +1,1% nel 2015), il debito diventa ancor meno sostenibile (e non solo per la Grecia, ahinoi). Non è un caso, allora, che nemmeno nella City di Londra o a Wall Street escludano un’altra ristrutturazione, consapevoli che questo andazzo è insostenibile nel lungo periodo. Ma l’haircut, oltre ad essere penalizzante per i creditori, può costituire un pericoloso precedente. E le concessioni di Bruxelles a Tsipras saranno, alla fine, comunque un gioco a perdere per tutti.

Dunque? L’unica soluzione realmente possibile per ridurre il debito è mettere in gioco il patrimonio pubblico. Ovunque in Europa, perché per quanto la “media” nasconda situazioni eterogenee, nessuno è “in regola”. Ma visto che i singoli paesi sono renitenti, per farlo occorre centralizzare questa decisione politica. L’obiettivo è scendere dal 92,7% al 75-80% del pil in una prima fase, per poi arrivare gradatamente al 66% del livello pre-crisi (non serve forzare fino al 60% stabilito a Maastricht). Per raccogliere i circa 3 mila miliardi complessivi che sono necessari, ci sarà da negoziare quanto ogni Stato membro dell’euroclub dovrà impegnarsi a tagliare. E sarà dura, perché (comprensibilmente) i paesi più indebitati vorranno una qualche correzione rispetto alla proporzione pura della parte di debito eccedente, mentre i più virtuosi (altrettanto comprensibilmente) faranno resistenza. Ma qui cancellerie e commissione – magari con l’aiuto della Bce, perché no? – dovrebbero finalmente mostrarsi all’altezza. Poi, una volta definiti in sede Ue obiettivo, entità e strumento, rimarrebbe nella disponibilità dei governi come attuare quest’obbligo: vendite dirette, conferimenti a quotande società o altro.

Ma è indubbio che utilizzare il patrimonio pubblico (l’Economist, per l’area Ocse, lo stima in 9 mila miliardi) è l’unico modo per rendere non recessivo il risanamento finanziario e meno ossessiva la pressione sul deficit corrente. In pratica, un passo verso l’agognata “federalizzazione” del debito. E poiché tutti gli europei, compresi Tsipras, Merkel, Junker o Renzi, alla fine hanno lo stesso obiettivo, perché non intervenire prima che la ferita diventi cancrena? (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.