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I numeri della crisi

Basta alibi

C'è un disperato bisogno di azioni strategiche di politica industriale

di Enrico Cisnetto - 07 dicembre 2014

Ora che la congiuntura economica internazionale sta volgendo in positivo, mentre in Italia della ripresa continua a non vedersi nemmeno l’ombra, chi incolperemo della mancata crescita? Ce la prendiamo con S&P perché ci ha ridotto ulteriormente il rating? Ormai non ci sono più alibi. Fino a qualche mese fa le montagne da scalare erano l’euro sopravvalutato, il petrolio alle stelle e i tassi d’interesse che incorporavano alti spread. Tre macigni cui si dava ogni responsabilità. E oggi che si sono eclissati, perchè permane la cronica assenza di investimenti, unico efficace carburante per far viaggiare l’economia? Per quanto sia certamente vero che nel 2011 con lo spread a 575 punti base abbiamo rischiato il default, è altrettanto vero che con l’odierno differenziale a 118 e i rendimenti del Btp sotto il 2% nessuno può esultare per un “boom economico” che non c’è. A lungo è stata invocata una politica monetaria fortemente espansiva, ma ora che la Bce di Draghi la sta progressivamente applicando (con i tassi al minimo storico dello 0,15% e le diverse operazioni “non convenzionali” che si susseguono), rimaniamo comunque inchiodati nella “trappola della liquidità”. Se il petrolio rimanesse stabile agli attuali 69 dollari al barile dopo essere arrivato a 112 a inizio anno, l’Italia potrebbe risparmiare 4 miliardi. Inoltre, l’euro in discesa sul dollaro (dall’1,38 di gennaio all’1,22 odierno, -11%), nonostante i problemi di Russia e Giappone abbiano comportato perdite per 1,7 miliardi, ha spinto l’export extra-europeo, che ha guadagnato 20 miliardi nel 2014 (6,2 in più del 2013), con ottobre che registra un surplus di 4 miliardi, un record che non si vedeva dal 1993. Il combinato disposto di questi tre fattori – cambio, petrolio e tassi – ha portato dei vantaggi, certo, ma nessuna soluzione.

Per il centro studi Economia Reale senza il deprezzamento dell’euro il 2014 chiuderebbe a -0,5% e il 2015 a -0,6%. Niente di speciale, visto che proprio l’istituto di Mario Baldassarri prevede un calo dello 0,4% nel 2014 (-0,3% per l’Istat) e un misero +0,1% nel 2015 (a fronte di un ottimistico +0,8% per il governo). E non bastano nemmeno i “decreti” per la crescita: gli strimiziti +0,1% nel 2015 e +0,2% nel 2016 che il governo ha ipotizzato come dividendo delle “riforme strutturali” saranno azzerati del tutto dai 4,5 miliardi che dovremo destinare alla riduzione del deficit. E anche le pmi, nonostante la crisi si sia rivelata una salutare selezione darwiniana che ha eliminato dal 2007 ad oggi il quinto più debole, non stanno per nulla bene: secondo gli economisti de “La Voce”, infatti, quasi una su tre è ad alto rischio di default.

Ecco, alla prova dei fatti, evapora in una nuvola di polvere la scolastica teoria liberista che immagina che il mercato possa trovare autonomamente il proprio punto di equilibrio. Per ripartire, per tornare a crescere, per uscire dal declino c’è bisogno di coraggio, di idee, ma soprattutto di investimenti straordinari, visto che nel 2013 sono scesi ai livelli più bassi degli ultimi 13 anni, avendo perso il 23,1% del loro valore dal 2008 ad oggi. C’è dunque un disperato bisogno di azioni strategiche di politica industriale. Non ci sono i soldi? C’è però un grande patrimonio immobiliare pubblico che sta lì fermo ad invecchiare, mentre noi diventiamo progressivamente tutti più poveri economicamente e più ricchi di alibi. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.