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Novità al Colle

Il sesso dei Draghi

E' partita la corsa al Quirinale.  I nomi sono infiniti. Come la pazienza che ci vorrà per sorbirsi una discussione così lunga e inutile.

di Davide Giacalone - 15 novembre 2014

“Voglio una donnaaaaa”. Lo ricordavamo come l’urlo disperato e speranzoso dello zio Teo, interpretato da Ciccio Ingrassia in Amarcord. Invocazione d’accesso alle grazie e all’amore negati a un matto. Lo ritroviamo come programma politico, ora anche per il Quirinale. Ululato insensato e sessista, ad opera di gente ipocrita e teste vacanti. Dicono che l’Italia è matura, per un simile passo. Sono loro a essere immaturi, supponendo di far fessi quei pochi che ancora ne seguono le gesta. La partita del Colle ha a che vedere con i conti economici e il delicato ruolo di garanzia, non con divagazioni di genere. Masculo o fimmina conta niente (allo zio Teo mandarono poi una suora nana e due infermieri per riportarlo al manicomio, tanto per capirsi). Rilevante è se si vuole una controfigura o un protagonista. Se la carica avrà forza propria o sarà frutto dell’impotenza collettiva.

La tempistica scelta da Giorgio Napolitano, ce ne siamo già occupati, indica che il tema centrale sono i conti pubblici e il loro intrecciarsi con le scadenze politiche. A rafforzare tale lettura sono giunti i malumori della Commissione europea. Segno che il presidente aveva notizie fondate e ha voluto porre la questione in modo ineludibile. A conferma di tutto gli ultimi dati Istat, con il tredicesimo trimestre negativo, il che mi fa supporre che alla prima trimestrale del 2014 la legge di stabilità ancora da approvare sarà da buttare.
Dice Matteo Renzi che dobbiamo correre a fare la riforma elettorale, perché così l’uomo del Colle si mette sereno e ci ripensa, arrivando almeno a primavera. Ma mica è lo zio Teo (e neanche noi lo siamo): la differenza fra ora è primavera è solo relativa al prima o al dopo la correzione dei conti, o, meglio, all’averla fatta con questo governo o ad averla posposta alle elezioni anticipate. Operazione, questa seconda, che Napolitano non intende assecondare.

Essendo tale, e non altra, la faccenda, nell’ipotizzare il nome del successore, quale che sia il suo sesso, si tratta di stabilire se avrà un ruolo o se sarà scelto (o scelta) perché il Colle esca di scena. Ed è puerile che tutti quanti, politici e analisti, facciano finta di non sapere che c’è un nome forte, per un ruolo attivo e di garanzia. Quello di Mario Draghi. Ma garanzia di che? Questo è il punto, perché nell’aia politica si sente tutto un pigolare sulle faccende interne al pollaio, mentre fuori un branco di volpi attende l’imbrunire. Se Draghi andasse al Quirinale ciò sarebbe letto in un solo modo, che si parli l’americano o il cinese: l’euro è al capolinea. I tedeschi festeggerebbero, grati agli italiani per avere rimosso il più significativo ostacolo sul loro cammino. Per i mercati sarebbe chiaro che l’euro avrebbe cessato d’esistere. O, almeno, non sarebbe più una moneta comune, bensì il marco per tutti. E’ per tale ragione che quel nome, proprio perché svolge abilmente una funzione essenziale, deve essere subito escluso.

Ma mica si può pensare di andare all’eccesso opposto, mettendoci un o una taglianastri. Mica possiamo seriamente pensare che l’operazione abbia come fulcro il chiacchiericcio di genere. E mi spiace (in questo caso come in tanti altri) non essere una donna, perché potrei dirmene offesa e indignata senza dovere scontare commenti beoti su presunti sessismi. Allora: chi? Risposta: se Napolitano tiene ferma la tempistica che ha volutamente fatto trapelare, serve un presidente che abbia autorevolezza di garanzia fuori d’Italia e forza d’indipendenza dentro; se, invece, s’accontenta del botto fatto e della paura messa agli altri, acconciandosi a restare dopo aver fatto l’emulo di Enrico De Nicola (che a suo tempo non voleva accettare la proroga di sei mesi, dato che l’Assemblea costituente era in ritardo, se non con esplicita rielezione), allora mettiamoci comodi e smettiamola di strologare, perché il nuovo presidente sarà deciso forse solo qualche mese dopo, ma in un’era economica diversa, lontana secoli dalle manovre in deficit e donazioni agli elettori.

Chi, nel primo caso? I nomi sono un paio, tre a sforzarsi. Non possono che uscire dal nazareno. Con comune consapevolezza della condivisa debolezza. In fondo siamo tornati alla casella d’apertura della legislatura, avendo bruciato tempo. Sarebbe ora di prendere atto che gli ultimi tre presidenti sono stati espressione della minoranza elettorale, per un fantasioso combinarsi di casualità e tragedie storiche. Un presidente consustanziale alla maggioranza, dal 1948 a oggi, sarebbe Gianni Letta. Che per altra fantasia storica oggi si ritrova in una minoranza. Il riequilibrio sarebbe stabilizzante e aiuterebbe a girare pagina. Un presidente capace di superare la seconda Repubblica, dopo aver fatto da becchino alla prima, sarebbe Giuliano Amato. Troppo intelligente per piegarsi ad una logica di parte, mentre il Colle, lo si è visto, da coraggio anche a chi ne difetta. Per il terzo, o la terza, ci sforzeremo poi.

Chi, nel secondo? I nomi sono infiniti. Come la pazienza che ci vorrà per sorbirsi una discussione così lunga e inutile.

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