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Moneta debole

Habemus deflazione

Non è la leggera risalita dei prezzi al consumo che ferma la pericolosa spirale deflattiva

di Enrico Cisnetto - 02 novembre 2014

Una foglia gialla che non fa autunno. Lascia le cose come stanno il rimbalzino di ottobre dell’inflazione, che è tornata finalmente a crescere dopo 5 mesi di continui ribassi. Un decimo di punto in più dei prezzi al consumo (due per i beni alimentari), che porta il tasso di inflazione acquisita per il 2014 dallo 0,2% di settembre allo 0,3% non cambia la tendenza deflattiva in atto. Anche perché l’aumento non è dovuto alle dinamiche del mercato – i consumi continuano ad essere inchiodati – ma alle scelte del regolatore dei prezzi dell’energia. E comunque non colma il nostro gap con l’Europa, visto che la media dell’eurosistema è dello 0,4% (l’inflazione è sotto l’1% in 15 paesi su 18, e di questi in 5 è negativa) e il tasso della Germania è allo 0,8% (paradossale, visto che i tedeschi sono ossessionati dall’idea che i prezzi esplodano). In tutti i casi, non c’è paese dell’eurozona che si avvicini al target Bce del 2% (o poco sotto). Target che non sarà raggiunto, stando alle aspettative, neppure nell’arco di 5-10 anni (Bankitalia dixit).

Ma perché, ci si domanda, tutta la liquidità immessa da Draghi nel sistema non produce un briciolo di inflazione come sarebbe logico aspettarsi? Perché i tassi a zero (o poco più) non inducono i consumatori a spendere e gli operatori a investire? Semplice: non è la politica monetaria ad essere sbagliata, ma la condizione complessiva dell’area euro. Il riequilibrio delle bilance dei pagamenti – obiettivo indispensabile, va detto, per evitare una crisi da debito estero come quella che si era profilata nell’autunno del 2011 – è stato ottenuto con politiche recessive, che hanno prodotto disoccupazione, e contenitive dei salari, e questo ha bloccato la domanda interna su livelli molto più bassi rispetto agli anni pre-crisi, cosa questa che a sua volta ha alimentato la spirale negativa degli investimenti. Dunque non è un problema di liquidità, di quantità di credito (le erogazioni di mutui nel 2014 sono cresciute del 29%, a settembre i prestiti ammontavano a 1.819 miliardi, contro i 1.673 del 2007) o di costo del denaro. Draghi può – e deve – continuare a lavorare al suo piano, per cui dopo gli acquisti delle obbligazioni garantite, andato a regime, adesso partono quelli degli Abs. Ma non basta. E forse non basterebbe neppure se dovesse partire – cosa ancora remota, comunque – il tanto evocato quantitative easing, cioè massicci acquisti di titoli di Stato (e altro). Da sola la Bce non può colmare il vuoto creato tanto dalle scelte sbagliate e limitate dell’eurosistema, quanto dalle mancate riforme nazionali di alcuni paesi. E in palio non c’è soltanto la lotta alla deflazione, pur importante perché è la premessa per uscire definitivamente dalla recessione o anche solo dalla stagnazione, ma la sopravvivenza della stessa moneta unica. Visto che i mercati hanno ben capito che la divaricazione tra le diverse politiche economiche – perfettamente comprensibile se vista in chiave di interessi nazionali, del tutto legittimi in mancanza di un soggetto unitario chiamato Stati Uniti d’Europa, ma deleteria per l’euro – non può non offrire alla speculazione finanziaria l’ennesima occasione d’oro. Non è un caso, infatti, che in questi ultimi giorni si sia prepotentemente riaffacciata nel dibattito pubblico l’idea di un euro-marco (per Germania e paesi del Nord) e di un euro di serie B per i paesi mediterranei. E l’Italia è la prima destinata alla serie cadetta. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.