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Bisogna agire con urgenza, o sarà il caos

È ora di voltare pagina

Serve un nuovo progetto per riscrive le regole e uscire dalla Seconda Repubblica

di Enrico Cisnetto - 18 aprile 2011

“I sondaggi sono negativi, stavolta lascia”. “No, sta solo testando le reazioni sul nome di Alfano”. “Macché, prende tutti per i fondelli, vuole che i pretoriani si scannino e si riconfermi la sua indispensabilità”. Siamo di fronte all’ennesimo dibattito inutile. Chi in queste ore s’interroga sull’attendibilità o meno dell’asserita volontà di Silvio Berlusconi di non ricandidarsi a premier, spreca il suo tempo.

Perché quale che sia la scelta del Cavaliere – e io scommetto senza alcuna esitazione per quella, a lui naturale, dell’autoperpetuazione – il tema della successione non esiste, è un nonsenso. Infatti, la leadership carismatica, di stampo peronista, non può essere lasciata in eredità ad alcuno – anche ammesso, e comunque in questo caso non concesso, che tale sia la volontà dell’uscente di scena – ma può solo essere conquistata da qualcun altro che s’imponga con gli stessi mezzi. Diverso, invece, un passaggio di testimone che avvenisse nella dimensione politica. Ma non è questo il caso.

Sia perché Berlusconi il ruolo di “padre nobile”, come ha ora definito un suo guidare il partito nella campagna elettorale per poi lasciare lo scettro del governo a qualche “figlio prediletto”, lo avrebbe potuto scegliere già nel 1994, quando molti gli consigliarono di mandare a palazzo Chigi qualcuno che di governo e di macchina dello Stato avesse esperienza, e di ritagliarsi lo spazio di leader di Forza Italia. Non lo fece, purtroppo. Ma sperarlo fu una puerile ingenuità.

Non solo perché significava non conoscere bene il personaggio – il sottoscritto, ammaestrato dall’aver vissuto in prima persona le vicende Mondadori, non commise quell’errore – ma perché, soprattutto, significava non aver capito quali implicazioni avesse la scelta bipolar-maggioritario-leaderistica che lo portò, come “figlio” della stagione di Mani Pulite, a battere la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto.

Scelta che non soltanto ha introdotto, in modo surrettizio rispetto al dettato costituzionale, la prassi della premiership strisciante, ma soprattutto ha permeato (nel senso di inquinato) la Seconda Repubblica della dinamica contrappositiva “berlusconiani-antiberlusconiani”, tuttora vigente, che per sua natura prevede la presenza sulla scena politica di Berlusconi e solo di lui, non di un suo sostituto. Quale che esso sia, e anche se fosse da lui indicato.

Voglio dire, in altre parole, che così come per chiudere la stagione politica chiamata Seconda Repubblica occorre l’uscita di scena di Berlusconi, altrettanto l’eventuale chiusura dell’esperienza politica di Berlusconi comporta la fine della Seconda Repubblica.

Rendendo con ciò impossibile la cosiddetta “successione”. Poi possiamo discutere, sia in termini di probabilità che di opportunità, se questo passaggio è realizzabile attraverso un qualche passaggio parlamentare – ma il 14 dicembre sembra aver messo una pesante ipoteca negativa su questa ipotesi – oppure direttamente per via elettorale. Opzioni, queste, molto importanti, perché a seconda di quale delle due strade si dovesse imboccare, gli scenari politici e i protagonisti, sarebbero destinati a cambiare.

Naturalmente, tutto questo dipende molto da Berlusconi, ma non esclusivamente da lui. Voglio dire che il suo perpetuarsi, anche i dopo i reiterati e acclarati fallimenti, è dipeso in buona misura dall’incapacità dei suoi avversari di costruire e rappresentare agli italiani un’alternativa.

Attenzione, non solo un nome e una coalizione da contrapporgli, perché quello è avvenuto e per ben due volte è riuscito, ma l’idea di un sistema alternativo. Invece il centro-sinistra ha puntato tutto solo sul sentimento avverso a Berlusconi, raccogliendo così un’armata Brancaleone che poi gli ha impedito di governare, rispondendo alle osservazioni critiche relative al sistema di contrapposizione armata che si era creato con il banale, e inutile, auspicio che si potesse affermare un “bipolarismo maturo”.

Senza capire che quello all’italiana è un bipolarismo armato non per sfortuna o immaturità, ma proprio perché si è costruito intorno alla figura di Berlusconi, a sua volta prodotto inevitabile delle contraddizioni insite nel processo di caduta della Prima Repubblica, nella fase malata di egemonia della magistratura sulla politica iniziata nel 1992 e tuttora vigente, e della scellerata scelta di cancellare i partiti e i loro radicamenti culturali a favore di un individualismo senza limiti che nel migliore dei casi ha prodotto leader ma non statisti e nel peggiore, quello che stiamo vivendo, un caravanserraglio di mediocri, incapaci e spesso lestofanti.

Dunque, sarà bene evitare di entrare per l’ennesima volta nel tunnel di una discussione tanto assurda quanto inutile. Berlusconi, anche volendolo, non può avere eredi. Con lui finirà la Seconda Repubblica, e il tema per chi pensa al futuro – speriamo più prossimo possibile – è quello di come dar vita alla Terza.

Certo ponendo la questione di chi incarnerà questo passaggio, ma sapendo che sarebbe un errore esiziale – per chi lo commettesse, ma soprattutto per l’Italia – ripercorrere la strada tutta berlusconiana del preoccuparsi solo dell’individuazione dei leader, misurati sulla base del grado di consenso che gli deriva dalla loro immagine, e non dell’elaborazione delle idee, dei progetti, dei programmi.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.