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Public Policy

Lettera aperta a Pier Ferdinando Casini

È ora di dire Terza Repubblica

Facciamoci promotori di una grande campagna nel paese a favore dell’Assemblea Costituente

di Enrico Cisnetto - 28 ottobre 2009

Caro Casini, mi permetto di richiamare la Tua attenzione sulla necessità che l’unica opposizione seria presente in Parlamento, l’Udc, faccia in questa fase così convulsa e delicata della vita nazionale un salto di qualità nella sua modalità politica. Richiesta che avanzo non per interferire nel dibattito interno al Tuo partito – al quale peraltro mi hai gentilmente invitato a prendere parte, come nel caso recente di Chianciano – ma in nome degli interessi del Paese, che soffre come e peggio che nel famigerato periodo 1992-94 di un avvilente decadimento della vita pubblica e di un’intollerabile involuzione del sistema politico.

E’ sotto gli occhi di tutti, infatti, che lo scontro tra istituzioni e poteri dello Stato – cui si intenderebbe rispondere con una riforma “unilaterale” della Costituzione – e lo scontro tra diverse concezioni della politica economica – finora covato sotto la cenere e adesso esploso in vista del dibattito parlamentare sulla Finanziaria, ma anche per il surriscaldarsi del clima politico intorno all’ipotesi di un “cedimento” di Berlusconi – stanno determinando una situazione i cui sbocchi è lecito immaginare possano essere i più diversi. Ma proprio per questo, è ora richiesto un supplemento di capacità d’iniziativa politica.

Finora l’Udc e il suo leader si sono fatti apprezzare per il buonsenso e la calma dimostrati nelle circostanze più “calde”, dalle polemiche relative alla vita privata del premier alla vicenda del “lodo Alfano”, dai rapporti tra Governo e Quirinale ai problemi relativi alla Magistratura. E non è cosa da poco: nel pollaio ululante del “confronto” (sic) politico, piuttosto che nel bel mezzo della guerra a mezzo stampa, le eccezioni si sono fatte notare, eccome. Ma ho la netta convinzione che ciò non basti. Sia perché sui temi all’ordine del giorno c’è la necessità e lo spazio per interventi di merito più puntuali, sia perché occorre offrire un’idea di soluzione alla crescente massa di italiani che sono stomacati da ciò che vedono e preoccupati che la situazioni degeneri senza uno sbocco in qualche modo preparato.

Dunque, atteso che occorre, cosa intendo per “salto di qualità” nella proposta politica dell’Udc? Sostanzialmente tre cose. Di cui una “propedeutica” alle altre due: aprire il partito al contributo di altre forze, di esponenti qualificati della società civile, del mondo laico. E’ l’argomento di cui ho parlato agli Stati Generali di Chianciano – e non era la prima volta – per cui non è il caso di ripetersi. Ma davvero considero il progetto del “partito holding”, o come tu l’hai ribattezzato, “partito della Nazione”, assolutamente indispensabile e urgente, sia per creare le condizioni oggettive per mettere in campo una capacità di elaborazione programmatica che finora è mancata, sia per dare la concreta sensazione a chi finora è stato alla finestra che si vuole fare sul serio.

Dopodiché, le altre due cose sono: lanciare un piano politico compiuto per il passaggio dalla Seconda alla Terza Repubblica; lanciare una serie di proposte programmatiche che diano il segno di un grande progetto riformatore per salvare e cambiare l’Italia. E le due cose si tengono, essendo l’una causa e conseguenza dell’altra. Roba da far tremare le vene dei polsi, si dirà. Vero. Ma con quale credibilità, se non con quella che gli deriverebbe da un’ambizione così alta, un soggetto politico che intende essere protagonista di un processo che prima acceleri la fine del bipolarismo malato e poi offra al Paese un nuovo sistema politico, può rivolgersi agli italiani?

Da dove cominciare? Intanto col dire con più chiarezza e nettezza non solo che si è alternativi ai due partiti che incarnano il bipolarismo bastardo, ma che si è contro il sistema chiamato Seconda Repubblica. Dunque “Terza Repubblica” diventi la parola d’ordine centrale del costituendo “partito della Nazione”, definendo fin da subito che in essa dovranno vigere due ferree “conventio ad excludendum”: nei confronti dei giustizialisti (Di Pietro e soci) e degli autarchici (Lega). Poi facendo propria la proposta di Assemblea Costituente di cui Società Aperta si è fatta promotrice da tempo.

Spiegando che un passaggio (ri)Costituente non solo è indispensabile per rendere più netto e privi di vizi il passaggio alla Terza Repubblica di quanto non lo sia stato 15 anni fa quello tra la Prima e la Seconda, ma è anche l’unica risposta possibile alla confusione che si è creata intorno all’ipotesi di mettere mano alla Costituzione. Va infatti spiegato che la nostra Carta è già stata violentata più volte, commettendo errori di metodo (l’unilateralismo degli interventi) e di merito (il disastro del Titolo V, per esempio). Inoltre oggi ci troviamo alla contrapposizione di due estremismi ugualmente pericolosi.

Prima di tutto quello di Berlusconi, che vorrebbe una repubblica presidenziale – contro cui personalmente non ho alcun pregiudizio, salvo pensare che non sia un sistema adatto al dna del nostro paese, anche se fosse nella sua versione corretta – ma “alla Putin”, con i pesi e contrappesi che altre esperienze, dalla Francia agli Usa, ci insegnano essere indispensabili. Ma anche l’integralismo di chi considera la Costituzione intoccabile è non meno pernicioso, non fosse altro perché favorisce i cambiamenti a colpi di mano.

Dunque, caro Casini, facciamoci promotori di una grande campagna nel paese a favore dell’Assemblea Costituente, magari anche attraverso una raccolta di firme per portare in parlamento la proposta sotto forma di “iniziativa popolare”. Lo so, le probabilità che passi, almeno in questa situazione, non sono alte, ma il grado di aggregazione che intorno ad un’idea così “alta” si potrebbe realizzare sarebbe talmente grande e “certificante” che compenserebbe qualsiasi altro tipo di valutazione. Infine, il fronte dell’economia.

Quanto sta accadendo in queste ore, riedizione del film già visto nel luglio del 2004, la dice lunga sul grado di confusione che regna nella maggioranza e sulla pochezza politica e programmatica del Pd. Nel governo si affrontano, infatti, due linee egualmente sbagliate. Quella di Tremonti, che fin qui nessuno ha apertamente non dico contestato, ma neppure pubblicamente discusso – a cominciare dal premier, in altre faccende affaccendato – si basa su un presupposto corretto, quello della tutela dei conti pubblici, necessaria in sé, per i rapporti con l’Europa e per i mercati che ogni giorno trattano i titoli del debito degli Stati, ma ne trae l’errata conseguenza di evitare qualsiasi intervento fino al punto da teorizzare – ed è stato l’errore più grave fin qui commesso dal governo – che con la crisi economica in atto non si può e non si deve fare alcuna riforma strutturale.

La linea contrapposta, che per ora ha padri ipotetici, è nello stesso giusta e sbagliata in modo speculare a quella di Tremonti: bene chiedere che a fronte della recessione, che peraltro si salda con la stagnazione e la perdita di competitività precedenti alla crisi, si metta decisamente mano al portafoglio; male che lo si faccia sia senza un’idea organica, figlia di un modello di sviluppo e di una politica industriale che si devono avere in testa, sia senza specificare quale pezzi della spesa pubblica devono trasformarsi da spesa corrente e improduttiva a spesa per investimenti.

Ma questa doppia contraddizione, come si può ben vedere, apre lo spazio per chi voglia farsi portatore di una proposta riformatrice alternativa, assodato che dal dibattito congressuale del Pd è uscito poco e niente (l’idea di Franceschini di abbattere contemporaneamente l’Irap e le sovvenzioni alle imprese è giusta, ma andrebbe maggiormente dettagliata e inserita in un contesto di politica economica più complessivo).

Qui io non posso che ribadire quanto già scritto su Liberal: occorre fare subito le quattro riforme (pensioni, sanità, semplificazione istituzionale, riduzione una tantum del debito pubblico) che oltre ad essere necessarie in sé possono produrre a regime un volume di investimenti che io stimo possa arrivare a 200 miliardi e forse anche superarli – funzionali a trasformare il capitalismo italiano e il suo modello di sviluppo, che purtroppo negli anni scorsi non si sono adeguati, tranne l’eccezione di qualche minoranza, ai nuovi paradigmi della competizione globale. E l’Udc subito e il “partito della Nazione” domani, caro Casini, hanno davanti a loro una spazio politico clamorosamente grande: entrare nel merito di quelle quattro riforme, proponendole al Paese. In attesa di realizzarle da Palazzo Chigi.

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