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Montezemolo: l'ascesa di un nuovo soggetto politico. Uscire dal bipolarismo, ora, si può

di Enrico Cisnetto - 25 maggio 2007

Alla vigilia dell’assemblea di Confindustria la domanda era: quello di Montezemolo sarà l’ultimo discorso da capo degli industriali italiani o il primo da leader politico? Ora la risposta c’è: tutte due. Ed in entrambi i casi è stato straordinariamente efficace. Da presidente uscente ha del tutto riassorbito gli effetti dell’inciampo di Vicenza del marzo 2006, quando uno “sgambetto” di un Berlusconi in pieno recupero elettorale gli alienò una parte rilevante della base associativa, che (erroneamente) lo vedeva spostato a sinistra. Gli applausi scroscianti della platea, ieri, è come se lo avessero riconsacrato presidente, proprio ora che ha davanti a sè un solo anno, buona parte del quale sarà necessariamente dedicata alla ricerca del suo successore.

Certo, per riuscire nell’intento Montezemolo ha dovuto sacrificare ogni accenno autocritico e forzare la mano su una transizione produttiva che probabilmente è molto più acerba di come l’ha voluta descrivere, elementi che gli hanno fatto correre il rischio di una rappresentazione un po’ manichea, da un lato gli industriali buoni e dall’altro i politici cattivi. Ma non meno efficace lo è stato quando, dedicando i due terzi della sua relazione alle grandi questioni politiche e istituzionali, Montezemolo ha scelto di “scendere in campo”. Perchè da questo punto di vista non c’è più alcun dubbio: d’ora in avanti il (quasi ex) presidente della Confindustria è, e sempre più sarà, un soggetto politico. Certo, mancano ancora molti passaggi all’annuncio ufficiale, ma è del tutto evidente che con ieri – nel momento in cui ha consegnato agli industriali e al Paese un “manifesto di valori”, dal merito alla concorrenza passando per un riequilibrio del rapporto tra diritti e doveri – Montezemolo abbia “varcato il Rubicone”. E qui la sua abilità si è potuta vedere nel difficile ma riuscito dosaggio tra la critica feroce alla politica – i suoi costi e i suoi privilegi commisurati alla sua scarsissima efficacia – e l’evitare di soffiare sul fuoco dell’antipolitica, sentimento fin troppo diffuso in un Paese stanco e sfiduciato ma anche propenso al qualunquismo. Sappiamo che alla vigilia qualcuno ha ricordato a Montezemolo le conseguenze di quando, nel 1990-91, i “poteri forti” decisero di ritirare la delega alla logorata Prima Repubblica, scrollando violentemente un albero che poi la magistratura provvide a segare del tutto: a rimanerne vittima non fu solo la classe politica di allora, ma anche la gran parte di quello stesso establishment, vertici della Fiat in testa.

Sarà forse per questo ricordo, sarà perchè allo stesso Montezemolo non manca la consapevolezza che il mondo che rappresenta – e che con orgoglio ha voluto difendere da chi lo ha dipinto come “impresentabile”, altra chiave di volta del suo rinnovato afflato con la base confindustriale – non è certo esente da responsabilità grandi e piccole, sta di fatto che nella relazione ci sono stati gli anticorpi giusti per evitare di scadere in un becero “tutti a casa”. No, francamente Montezemolo ha evitato di mettersi alla testa di quel fronte tecnocratico che in questi ultimi tempi ha rimesso la testa fuori come fece quindici anni fa. Anzi, ha condannato il “cinismo dell’antipolitica” e ha messo in guardia dal pericolo di una politica che si riduce ad essere amministrazione, pura gestione della cosa pubblica. Così come molto opportuna è apparso il riferimento al fatto che solo le idee e i progetti ambiziosi rendono forte la politica, giusto antidoto all’illusione, che in questi anni ha fatto gran danno, del leaderismo salvifico.

Certo, il presidente della Confindustria avrebbe potuto compiere un ulteriore passo in avanti, riconducendo l’epifenomeno del costo e del malfunzionamento della politica al vero problema di fondo, la crisi irreversibile della Seconda Repubblica. Anche perchè nella relazione le premesse c’erano: la necessità di superare lo schema novecentesco di destra-sinistra, evocata con accenti sarkosiani, la richiesta di accompagnare una (necessaria) nuova legge elettorale con profonde riforme istituzionali da realizzare in un contesto Costituente. Ma, probabilmente, la ricetta di come uscire dal “bipolarismo all’italiana” di cui siamo vittime, sarà il Montezemolo leader politico a fornircela. E da quella si capirà se davvero sarà il più autorevole padre della Terza Repubblica.

Pubblicato su il Messaggero di venerdì 25 maggio

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