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Proposta di referendum nell’area dell’euro

Volete davvero l’Europa unita?

Un’iniziativa politica per uscire dal vicolo cieco delle ratifiche della Costituzione Ue

di Donato Speroni - 26 ottobre 2005

Il processo di costruzione europea è bloccato. Si poteva prevedere fin dall’inizio che il tentativo d’imporre una costituzione dettagliata e magniloquente a un insieme eterogeneo di venticinque stati nazionali sarebbe finito in un fallimento. Ed è ancor più grave che i “no” non siano arrivati da Paesi marginali e di recente adesione, ma dagli elettori di due Stati come Francia e Olanda che fanno parte del nucleo fondante dell’Europa.

Giovedì 27 i capi di governo si troveranno ad Hampton Court, al Consiglio informale europeo, per discutere soprattutto di competitività e di risposte alla globalizzazione. Già si sa che dalla riunione non uscirà una risposta forte, ma al massimo si deciderà il varo di un piccolo fondo che faccia da cuscinetto per smussare gli effetti sociali delle delocalizzazioni. Ci vorrebbe ben altro, in questo momento di crisi, ma non sarà certo la presidenza di turno inglese a spingere sull’integrazione europea.

Come si rimette in moto l’Europa? Giuliano Amato, nella sua nota settimanale sul Sole 24 Ore, ci dice che due tesi hanno preso a confrontarsi nel Parlamento europeo: una prima favorevole a una più decisa integrazione politica, magari attraverso la creazione di una vera e propria assemblea costituente europea, e la seconda contraria ai salti in avanti, che vuole proseguire nel processo di ratifica della bozza di Costituzione per indurre poi a ricredersi gli Stati che hanno votato no. Lo stesso Amato dichiara la sua incertezza tra le due tesi, anche se alla fine propende per la seconda, la più prudente.

A me sembra però che le due opzioni eludano il problema fondamentale, che è probabilmente all’origine del voto negativo da parte degli elettori di Francia e Olanda: di quale Europa stiamo parlando? Con quali confini? In realtà sull’integrazione europea sempre più chiaramente si scontrano due anime: una prima che considera l’Unione europea poco più che una zona di libero scambio, con istituzioni comuni che non intaccano le prerogative degli stati nazionali, e una seconda che punterebbe invece a compattare un nucleo più ristretto, disponibile a marciare verso un vero progetto federale di Stati Uniti d’Europa. E’ ovvio che per i fautori del primo progetto l’Unione può allargarsi a dismisura, fino ad abbracciare non solo la Turchia ma anche la Russia, mentre per il secondo bisogna dar vita subito a una “Europa a due velocità” con ulteriori passi d’integrazione limitati a chi ci sta, come si è già fatto con la creazione della moneta unica. Su questa linea sembra schierato anche il presidente francese Jacques Chirac, che nell’articolo scritto per il Corriere della Sera alla vigilia del vertice di Hampton Court afferma: “Penso che si debba assolutamente consentire agli Stati che vogliono agire insieme, in aggiuta alle politiche comuni, di farlo”.

Già, ma chi ci sta a fare che cosa? Ecco il problema. Teniamo presente che dopo la batosta dei referendum, il processo d’integrazione europeo può essere rimesso in moto solo attraverso un passaggio elettorale che ottenga un largo consenso. Ma il consenso si può ottenere soltanto su un’Europa nella quale i cittadini si riconoscono, non sull’informe agglomerato che si è creato in questi anni. A mio giudizio, gli elettori europei dovrebbero essere chiamati a rispondere ad una domanda molto chiara, per verificare la disponibilità a marciare verso un governo comune.

Immaginiamo dunque un referendum esteso a tutti i Paesi dove è più avanzato il processo d’integrazione (e quindi ai soli stati che hanno una moneta comune) sulla domanda: “Siete d’accordo sulla creazione di uno Stato federale europeo, nell’ambito dell’attuale area dell’euro?”. Con l’intesa che se un Paese dovesse votare no sarebbe destinato a rimanere fuori dal processo d’integrazione mandato avanti dagli altri.

L’Unione europea a 25 o più potrebbe comunque sopravvivere, con le sue istituzioni e le sue impostazioni prevalentemente economiche. Ma così come è stata creata a Francoforte una Banca centrale europea per i paesi dell’euro, si dovrebbe creare un vero e proprio Governo centrale europeo per i Paesi che hanno risposto sì al referendum. Distinto dalla commissione di Bruxelles e con poteri da determinarsi attraverso un’assemblea costituente che a quel punto, dopo aver verificato l’effettiva disponibilità dei popoli agli Stati Uniti d’Europa, avrebbe davvero un valore fondante.

Non mi nascondo le difficoltà di questo percorso, che comporterebbe una notevole rinuncia di potere da parte delle dirigenze politiche nazionali. Non è neanche detto che gli elettori se la sentano di appoggiare un progetto federale, dopo anni di delusioni eurocratiche o di inganni di governi che hanno scaricato sull’Europa le loro colpe. Ebbene sì, può anche darsi che il federalismo europeo sia un sogno: se il referendum dovesse fallire, smetteremo d’illuderci e cercheremo altre strade per sopravvivere nel mondo globalizzato.

Ma può anche darsi che un progetto semplice e chiaro possa ancora scaldare le menti e i cuori. Val la pena di sperarci, di cercare alleanze negli altri paesi, di battersi.

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