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I nodi vengono al pettine

Volare, non strisciare

La globalizzazione porta problemi e opportunità

di Davide Giacalone - 04 novembre 2011

Vengono al pettine problemi antichi, colpevolmente trascurati e anche se, come non ci siamo stancati di sottolineare, non sono la causa dell’ondata speculativa, benché sia l’euro e non l’Italia a provocare quel che accade, non di meno quei problemi sono la corda cui rischiamo d’impiccarci. Nei palazzi del governo si respira l’aria che tira fra gli studenti poco diligenti, che vanno incontro alla bocciatura: si vorrebbe riavere il tempo perduto, per rimediare, ma oramai è andato. Eppure, senza nulla togliere a questo bigio scenario, la percezione dell’Italia, fuori dai nostri confini, è assai diversa da quella che si coglie leggendo i nostri giornali e ascoltando i nostri discorsi. Sono reduce da un viaggio di lavoro in Cina e, con L’Agenzia per l’Innovazione, usando il format “Italia degli Innovatori”, abbiamo accompagnato una settantina d’imprenditori italiani ad incontrare le controparti cinesi. Nella città di Suzhou (si pronuncia Sugiò), fra Shanghai e Nanchino, c’è un vero e proprio distretto industriale italiano. Ogni anno quei nostri connazionali organizzano un Festival italiano, invitando in un parco giochi i loro dipendenti e collaboratori, naturalmente cinesi. Migliaia di famiglie possono gustare spaghetti (ottimi, sul serio), bere il nostro vino, osservare i nostri prodotti, ascoltare musica. Nessuno di loro, e men che meno le autorità locali, si sogna di supporre che gli italiani siano altro che gente laboriosa e capace, che in quella provincia ha portato ricchezza. Siamo noi che l’abbiamo portata, nella ricchissima Cina che cresce ad un ritmo per l’Italia non ipotizzabile. A Nanchino (Nanjing) e Shanghai gli imprenditori cinesi si sono messi in fila per incontrare i loro colleghi italiani, per discutere i loro prodotti e valutare i loro brevetti. Questa competenza, queste innovazioni, sono preziose per loro. Perché una cosa è crescere sulla quantità, altra camminare sul terreno della qualità. E la Cina non è affatto il Paese che molti suppongono, non è il regno del basso salario e delle ciabattine, o dei pirati che ti copiano le idee. Certo, c’è anche questo, ma un loro ministro, Wan Gang, responsabile della ricerca e dell’innovazione, ci tiene a precisare che ciascuna azienda deve dare formale assicurazione di rispettare le opere dell’ingegno e i diritti dei brevetti. Per ottenere la qual cosa sono nati specifici centri di trasferimento tecnologico.

La globalizzazione porta problemi e opportunità, dalla Cina si vedono benissimo entrambe, ma la cosa peggiore è beccarsi i primi e perdere le seconde. Certo, non è tutto oro quel che luccica, i problemi non mancano, ma quel che qui m’interessa rilevare è che ciascuno di quegli imprenditori italiani, seduto ad un tavolo tutto suo e con un’interprete a disposizione, era preso maledettamente sul serio dai cinesi. Com’è giusto che sia. Com’è naturale, ma com’è anche così distante da quel che pensiamo e scriviamo di noi stessi. Quel che abbiamo in mano è oro, l’interazione fra le nostre piccole e medie aziende, che sono scrigni di ricerca e innovazione (mai contabilizzata nelle statistiche, quasi nascosta, fiscalmente penalizzata), e il gigante che vuol crescere in qualità e identità commerciale, promette bene, ma va saputa governare e accompagnare. Ed è a questo punto che ci facciamo del male. Guardavo la grande sala, con i miei connazionali che facevano un figurone (500 b2b, incontri bilaterali!) e i cinesi che si complimentavano, ma pensavo: quasi tutti questi signori si trovano con una banca che chiede loro di rientrare dai fidi, anziché ricevere soldi glieli chiedono indietro; quel che serve loro per onorare eventuali contratti, nati da quei colloqui è un ammontare di decine di migliaia, in pochi casi di centinaia di migliaia di euro, poca roba; fra dieci anni solo una piccola percentuale di loro sarà fallita (tocchiamo ferro), perché sono famiglie, singoli imprenditori, gente che in quel prodotto ha la vita; ma fra dieci anni, se non si cambia musica, solo pochi saranno cresciuti, mentre i più saranno rimasti nani, per colpa del mercato finanziario, del fisco e del sistema previdenziale. Siamo dei matti, nel senso di stupidi. Basterebbe avere veri fondi d’investimento, vere banche che non si limitino a far amministrare il credito dai computers, vera struttura finanziaria e questa gente prenderebbe il volo, trascinandosi dietro un pezzo d’Italia.

E’ vero, resterebbe sempre l’altro pezzo, quello dei mantenuti, delle rendite, degli scansafatiche, delle amministrazioni arretrate, dei politici parolai. Ma se non si fanno decollare i primi non si riesce a sbarazzarsi dei secondi. Vista da quegli incontri cinesi l’Italia è il Paese che ha la possibilità di volare, ma sembra provare un irresistibile piacere nello strisciare.

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