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Public Policy

L'Italia sotto attacco

Viva lo spread

Di fronte al rischio fallimento qualche riforma è stata fatta. E lo spread è sceso. Poi si è tornati alla situazione politica precedente. E lo spread è tornato a salire. E’ evidente: lo spread ha fondamenta politiche.

di Massimo Pittarello - 03 agosto 2012

Non è l’economia, ma la politica, la vera ragione dello spread. E questo i dati lo confermano, chiaro e tondo: il nostro debito pubblico pro-capite (31mila euro) è inferiore a quello americano (38mila dollari); la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane (44500 euro procapite) è superiore a quella tedesca (38mila euro). Nel nostro Paese il rapporto fra tale ricchezza con il debito pubblico procapite – i 31mila euro di cui sopra – è al 70%, e si discosta davvero di poco da quello tedesco, fermo al 67%.

Ma i mercati non pensano nemmeno ad attacchi speculativi sul debito tedesco, mentre quello italiano è sotto pressione da tempo, tale che l’ipotesi bancarotta è per noi seria e reale. Per intenderci, il rapporto fra ricchezza e debito procapite della Grecia è al 273%, quasi quattro volte quello italiano. Perché allora siamo anche noi a rischio default?

Anche conteggiando i dati assoluti, l’economia, da sola, non fornisce risposta soddisfacente. Tra il 1994 e il 2007 il debito pubblico italiano è sceso dal 121% al 103% del Pil, al contrario di quello tedesco, salito di 17 punti. Negli ultimi tre anni, dal 2008 al 2011, l’Fmi dice che il nostro passivo, rispetto al Pil, è cresciuto di 14 punti, esattamente come quello tedesco, contro i 18 della Francia, i 27 degli Stati Uniti e i 30 del Regno Unito.

Stesso discorso vale per il deficit di bilancio. Siamo virtuosi, come e meglio di altri Paesi europei. L’idea di dismettere parte del patrimonio immobiliare e delle partecipate statali per abbattere il debito, che sembra davvero prendere corpo, viene completamente ignorata dai mercati. Lo spread continua a volare alto, e sembra dipendere più da quanto dice o fa la Bce o la Bundesbank, che dalle nostre vicende nazionali; verosimilmente rimarremo sotto attacco anche con un rapporto debito/Pil intorno al 100%. Perché il problema non è economico. E’ politico.

Mentre in Spagna il ministro del Bilancio dichiara pubblicamente che “nelle casse pubbliche non ci sono soldi per il pagamento dei servizi", da noi Raffaele Lombardo, il “dominus in pectore” della Trinacria (ma appena dimessosi) dice che “la Sicilia ha i conti in ordine”, anzi “se siamo una palla al piede dell’Italia siamo pronti a staccarci”. Un’invettiva non dissimile al “i ristoranti sono pieni”, pronunciata da Berlusconi i primi giorni di novembre 2011.

Con il Pd che era partito democratico mentre ora non sa se fare le primarie, le nozze gay, se andare con Vendola o Casini, o con tutti e due insieme, magari contemporaneamente. Con il Senatùr che mentre nutre la Trota continua a sbavare che “Maroni non conta un cazzo”. Berlusconi si candida, non si candida, nel Pdl, in un nuovo partito, di nuovo in Forza Italia. Votiamo col Porcellum, no col proporzionale, no col Provincellum. Fini, Scilipoti, Razzi, Calearo, Minetti, Maria Rosaria Rossi; e poi le inchieste giudiziarie e la lotta fra i poteri istituzionali dello Stato. I cattolici fanno un partito, anzi no. La magistratura blocca l’industria e attacca la politica. Un teatrino che quotidianamente ci regala dichiarazioni non proprio “corrispondenti” a quella che è la realtà. E’ ovvio che in queste condizioni è rischioso investire nel nostro debito. Voi li prestereste i soldi a delle persone come gli italiani? Forse si, ma sicuramente ad interessi elevati.

Lo spread sale alle stelle, e qualche riforma viene portata a termine. Lo spread scende, e tornano i veti, le rendite di posizione, l’immobilismo, la sclerotizzazione della segmentata economia italiana. La politica che abbiamo conosciuto in questi anni, dopo averci portato sull’orlo del baratro e aver fatto fare il lavoro sporco ai tecnici per salvarci dal rischio default, è pronta a tornare, più bugiarda e sprecona di prima. Solo di fronte al rischio di andare in fallimento e di non riuscire più a pagare i nostri debiti qualche riforma è stata fatta. E lo spread è sceso. Poi si è tornati alla situazione politica precedente. E lo spread è tornato a salire. E’ evidente: lo spread ha fondamenta politiche. E non so se per il futuro di questa terra non potrebbe essere meglio un vero e proprio default. In modo da ricominciare tutto da capo.

Qualcosa non va, se da una parte si fanno sacrifici lacrime e sangue, e dall’altra continuano sprechi, privilegi, vitalizi, progetti caduti nel vuoto, prebende, forestali, camminatori, spalatori di neve e via dicendo. La visione che i mercati e gli investitori, ma non solo, hanno di noi è quella di un Paese che non è in grado di riformarsi, di adeguarsi agli standard europei, di imboccare la strada del rilancio economico e politico. E non potrebbe essere altrimenti. Viva lo spread.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.