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Deideologizzazione della violenza

Violenza di ieri, violenza di oggi

I militanti violenti, negli anni settanta, subivano addestramento militare e ideologico. Adesso, per mettere a ferro e fuoco una piazza, si passa dagli ultras del calcio.

di Davide Giacalone - 09 maggio 2013

La violenza potrebbe crescere, spinta dalla crisi. Più di una sirena suona questo allarme, mentre c’è chi giustifica (Boldrini), chi prevede (Grillo) e chi ammonisce (Alfano). C’è un nesso, un filo di continuità, fra la violenza di ieri e quella di oggi? Fra gli anni di piombo e quelli di odio? E’ possibile che torni il passato? Nel ricordare, oggi, le vittime del terrorismo sarà bene non dimenticare che c’è chi sta lottando fra la vita e la morte, colpito dalla terrificante nullità di un criminale, salutato dalla presidente della Camera come una “vittima”. Il giustificazionismo sociodemenziale può essere accostato al collateralismo di ieri? Gli ipocriti compatitori odierni sono come i cattivi maestri d’un tempo?

Il passato non torna. Gli anni di piombo furono il pezzo di una storia più grande, quella della guerra fredda. Non si capiranno e non si ricostruiranno con lucidità, se non partendo da lì. I terroristi di allora ebbero istruzione e appoggi logistici dai servizi dell’est. Alcuni di loro, come Mario Moretti, erano agenti dell’est. Tanti altri erano dei cretini ideologizzati. Di maestro, ovvero di soggetto in grado di pensare ed elaborare concetti complessi, ce ne fu, forse, uno solo: Toni Negri. Gli altri si dimostrarono d’imbarazzante ottusità, davvero convinti di star completando l’opera dei partigiani. Eppure, tanto vuoto culturale fece gran moda nei salotti, nelle redazioni, nelle case editrici. Non ebbe mai seguito di massa, anche se si sosteneva il contrario.

Oggi è tutto diverso. Nei salotti si fa meno bisboccia e, comunque, non s’afferra il senso di una violenza che non sappia alimentare il sogno (l’incubo) della palingenesi universale. Nelle redazioni ci sono ancora i raccomandati dall’estremismo di ieri, sicché sono come i reduci che credono sia unica nella storia la loro (farlocca e profittatrice) guerra. Nelle case editrici hanno le pezze al sedere, e comunque non producono roba leggibile. Eppure non c’è da prendere la cosa sottogamba, perché, a naso, direi che il potenziale seguito odierno e maggiore di quello che fu.

La deideologizzazione della violenza la rende più accessibile. Per arrivare a essere militanti violenti, o addirittura terroristi, negli anni sessanta e settanta era necessario passare per l’addestramento militare dei servizi d’ordine e quello ideologico delle cellule. Per mettere a ferro e fuoco una piazza, oggi, si passa dagli ultras del calcio. Non è un’ipotesi, è già successo. Il che segnala una maggiore popolarizzazione della violenza. Non ci sono barriere d’ingresso, se non quella d’essere ammessi in gruppi a fondamento identitario, ma privi d’identità. Ieri si conosceva la distinzione fra Brigare Rosse e Prima Linea, o fra Ordine Nuovo e i Nar, come fra Lotta Continua e Potere Operaio, o fra il Fuan e Boia chi molla. Oggi chi saprebbe definire un anarcoinsurrezionalista, un black bloc, o uno di quelli che assaltò i Carabinieri, a Roma? Le differenze ci sono, ma forse più nella mente di chi osserva che in quella di chi anima.

La crisi farà da detonatore? Questo è il punto più importante: non la crisi, ma l’assenza di morfina, l’impossibilità di usare la spesa pubblica. Fra le tante cose strampalate che leggo sul nostro debito pubblico trovo di rado chi ricordi che crebbe anche per far da collante in un momento in cui forze prepotenti puntavano a rompere l’Italia (come anche la Germania). Oggi quello strumento è inceppato. Al di là della valutazione sulle sue controindicazioni. Ed è per questa ragione che credo i cattivi maestri e le fusa altolocate di ieri ebbero grande visibilità in certi ambienti, ma scarso riflesso pratico, mentre i giustificazionismi odierni rischiano di funzionare all’opposto: destano meno reazioni, ma provocano più conseguenze.

Ci si è impegnati, per anni e anni, a ripetere e dimostrare che i guai dei molti derivano dalle colpe di pochi. S’è soffiato sull’odio politico, sociale, fiscale, ora anche sessuale. Il linguaggio pubblico s’è sempre più involgarito, riflettendo pensieri a loro volta zotici. Quindi è arrivato Giuseppe Grillo, che ha dato proiezione parlamentare a questa minestra, aggiungendo la condanna della violenza, però, e ritraendosi quando ha rischiato d’innescarla. Ora vedo che c’è chi gli fa concorrenza, scavalcandolo nel giustificare, tollerare, sollecitare. Siccome non mi va di celebrare, fra trenta anni, la giornata della memoria per le vittime dell’odio e della deficienza immorale, meglio avvertire subito: questo modo di fare porta male.

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