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Dibattito sulle misure fiscali a favore delle imprese

Via l’Irap, per decreto e appena possibile

Il governo non aspetti i sindacati. Va creata una no-tax area per le piccole imprese

di Alessandra Servidori - 24 maggio 2005

La riforma dell’Irap deve contribuire a una politica di rilancio della competitività del sistema industriale. Col suo articolo di ieri, Enrico Cisnetto ha proposto “un procedimento selettivo che favorisca le imprese inserite in settori che abbiano reali prospettive di sviluppo”. Oggi Alessandra Servidori espone una tesi in parte diversa: l’Irap va abbattuta subito e per tutti perché si tratta di una imposta irrazionale. La discussione è aperta.

A difficoltà serie si risponde con misure credibili e non con l’occupazione delle piazze. Così il Governo si deve rimboccare le maniche e procedere spedito sul versante delle manovre finanziarie, senza ascoltare le invettive dei sindacati che, rispetto alle decisioni che riguardano l’economia italiana, non sanno fare altro che porre veti e mettersi di traverso.

La decisione di ridurre il peso dell’Irap sul lavoro è una scelta importante poiché interviene su una tassa demenziale introdotta dalla sinistra, e rappresenta una operazione di abbattimento che simultaneamente alleggerisce il reddito, il costo del danaro, il costo del lavoro. L’Irap è un’imposta assolutamente priva di razionalità perché è regressiva: la paghi anche se non hai reddito, solo perché hai costi. Dunque il ridimensionamento di questa imposta va fatto per decreto e il prima possibile, partendo dal 2005 e definendo una gradualità per arrivare all’eliminazione totale in due o tre anni poiché ha costi insostenibili per le imprese e i servizi. L’imposta, ai raggi x, svela un peso veramente massacrante per le attività: rispetto alla percentuale di imposta versata, la torta del macigno è suddivisa per l’industria al 42,97%, commercio e pubblici esercizi 13,35%, intermediari finanziari 14,76%, agricoltura 0,35%, altri servizi 28,57%.

Il programma del governo è mirato a competitività delle imprese, famiglie e meridione. Nel 2005 va a rinnovo il 50% della massa contrattuale per circa otto milioni di lavoratori e dunque si potrebbe pensare alla esclusione da imposta, in tutto o in parte, degli incrementi contrattuali o la riduzione degli oneri contributivi. E’ contemporaneamente necessario però allargare la base imponibile e ridurre la dinamica della spesa pubblica corrente per riequilibrare la parte delle entrate.

Nell’ambito del decentramento dello Stato dunque diventa fondamentale la partecipazione dei Comuni nell’accertamento delle imposte in collaborazione con il fisco centrale, poiché con i conti in disordine, se non si vogliono tagliare i servizi pubblici, si devono comunque mettere in pista altri provvedimenti e fare delle scelte e individuare delle priorità poiché non si può tenere tutto.

D’altronde rispettare le compatibilità finanziarie è un argomento forte e sostenuto dalle società di rating mondiali – cioè i giudizi di affidabilità – di quei debitori da migliaia di miliardi di euro che sono gli Stati. L’Italia ha oggi meno margini di manovra nei conti pubblici e dunque per incoraggiare una ripresa qualsiasi taglio significativo alle tasse va compensato da riduzioni di spesa o altra entrata. Una svolta può arrivare per il nostro Paese solo se si inverte per più di un anno la tendenza a ridurre il debito. E’ allora che i mercati potrebbero essere più scettici sulla convenienza a prestare denaro alla Repubblica italiana. Certamente poi, stando ai temi del deficit, sappiamo che la Commissione Ue è pronta a lanciare la procedura contro l’Italia per lo sforamento ed è ragionevole avere paura delle sanzioni dei mercati sui nostri conti. Siamo poi ben consapevoli che è bene cercare anche un “vincolo esterno” che aiuti i ministri a propugnare in patria misure impopolari. Specie adesso che la morsa del Patto di stabilità dell’Ue, ai politici nelle capitali europee, purtroppo fa meno paura.

Dei sindacati che dire? Cisl e Uil ultimamente non si stanno comportando molto bene. Si sono riavvicinati alla Cgil di Epifani sul fronte opposto del governo. Così il fronte sociale è rientrato all’interno dei soliti confini: in vista delle elezioni prima ancora di scegliere la coalizione di centro-sinistra (seppur già massacrata!) e il suo programma (che non c’è!), la triplice ha optato per la naturale vocazione allo statalismo e all’assistenzialismo e dunque non ci si può aspettare altro che si agiti e basta.

Val dunque la pena di tirare dritto e a giugno, insieme alla Finanziaria, fare il decreto per abbattere l’Irap, con interventi per ridurre il cuneo fiscale sulle retribuzioni, incentivi fiscali per favorire l’aggregazione d’imprese e misure per promuovere il credito agevolato da parte delle banche. Dunque una cura da elettroshock, magari con il taglio dell’odiosa Irap a tutte le imprese e con una no-tax area, perché se si eliminasse solo la quota relativa al costo del lavoro se ne avvantaggerebbero solo 700 grandi imprese.

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