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Superiamo la partitocrazia attuale

Verso una vera competizione politica

La soglia di sbarramento come strumento di semplificazione e la razionalizzazione del sistema politico

di Livio Ghersi - 30 gennaio 2009

In un libro pubblicato nel mese di ottobre del 2007, cioè in tempi non sospetti, dedicai un apposito paragrafo al «problema della selezione della rappresentanza politica». Consentitemi di citarne tre brani. Il primo: «Applicata in modo onesto, la previsione di uno sbarramento per l’accesso alla rappresentanza favorisce la semplificazione e la razionalizzazione del sistema politico: i partiti che abitualmente raccolgono basse percentuali di consenso sono costretti ad individuare i gruppi politici a loro più affini, a trovare con loro un minimo di base programmatica comune, dando così vita ad aggregazioni più ampie».

Il secondo, riferito alla legge elettorale vigente in Germania per l’elezione del Bundestag: «La previsione di una soglia di sbarramento fissata al cinque per cento, applicata in modo uguale nei confronti di tutte le liste, ha questo significato: un partito può accedere alla rappresentanza istituzionale a condizione che raccolga una quantità di consenso significativa nel Paese. Tale condizione è una garanzia della serietà del partito che, per riuscire a mettere insieme la percentuale di consenso richiesta dalla legge, deve avere una consistenza organizzativa, un minimo di radicamento territoriale, un ceto politico capace di proporsi, per credibilità personale e qualità degli argomenti, a settori rilevanti di opinione pubblica. Si tratta di una misura di moralizzazione della vita pubblica: non viene lasciato alcuno spazio agli avventurieri, per i quali la elezione ha lo stesso significato che per i comuni mortali avrebbe vincere il primo premio di una importante lotteria».

Il terzo brano riguardava gli effetti di una legge elettorale proporzionale, non soltanto senza previsione di clausole di sbarramento, ma tale da incoraggiare l’accesso alla rappresentanza attraverso il meccanismo del recupero dei resti un un collegio unico nazionale: «Confrontiamo la legge elettorale tedesca con quella che, ad esempio, trova applicazione in Italia per l’elezione dei deputati al Parlamento europeo (legge 24 gennaio 1979, n. 18, e successive modificazioni). Nell’uno e nell’altro caso si tratta di legge proporzionali, ma gli esiti sono profondamente diversi. La legge per le elezioni europee non prevede alcuna soglia di sbarramento e consente il recupero dei resti su base nazionale: una legge elettorale siffatta dà rappresentanza anche a formazioni che raccolgono ridottissime percentuali di consenso nel Paese, pure inferiori all’uno per cento. La nostra opinione è che una legge proporzionale come quella applicata nelle elezioni europee sia da bocciare: si tratta di un incentivo alla frammentazione della rappresentanza».

In altri termini, in un libro pubblicato nell’ottobre del 2007, assumevo la legge per l’elezione dei rappresentanti dell’Italia nel Parlamento Europeo come esempio di legge elettorale non virtuosa. Ora che è stato raggiunto un accordo nella sede parlamentare per modificare proprio quella legge elettorale, mediante la previsione di uno sbarramento nazionale del 4 %, mantenendo immutata per ogni altro profilo la normativa vigente, sento il dovere di essere coerente con le conclusioni cui ero giunto in sede teorica.

Non mi pongo la domanda che tutti si pongono: quali partiti trarranno vantaggio dalla novella legislativa? Mi chiedo, piuttosto: questa modifica realizza, o meno, l’interesse generale, che è quello di razionalizzare e di migliorare il sistema politico? La mia risposta è sì: è preferibile che in tutti i livelli di rappresentanza (consigli comunali e provinciali, consigli regionali, le due Camere del Parlamento, il Parlamento Europeo) le diverse leggi elettorali non siano contraddittorie fra loro, ma siano tendenzialmente ispirate da una stessa logica di selezione della rappresentanza. Che razionalità c’è a consentire che ottengano rappresentanza al Parlamento Europeo microformazioni che, secondo le leggi elettorali vigenti, non hanno i requisiti minimi di consenso per essere rappresentate nel Parlamento italiano?

L’eventuale seggio ottenuto in Europa consentirebbe l’accesso a fonti di finanziamento, con la conseguenza di mantenere comunque in attività gruppi politici che, per le loro dimensioni, contraddicono le esigenze di semplificazione del sistema politico. Molti cari amici mi considereranno un "traditore" perché invece di seguire gli appelli del Comitato per la democrazia, e di elevare proteste contro il regime partitotocratico, difendo quella che appare una scelta vantaggiosa per i partiti maggiori. Rispondo come ha insegnato Aristotele: "Amicus Plato, sed magis amica veritas".

Per combattere la partitocrazia, secondo me, bisogna iniziare con il ridurre drasticamente il numero di coloro che "vivono di politica", cioè che hanno fatto della politica la loro professione. Un buon modo di perseguire questo obiettivo è proprio quello di ridurre il numero degli attori politici, cioè dei canali attraverso cui si può arrivare ad ottenere la rappresentanza. Una volta che soltanto pochi partiti, di dimensioni medie o grandi, saranno rimasti in piedi, tutta la competizione politica si concentrerà al loro interno e ciò, inevitabilmente, determinerà dei processi di crescita della democrazia interna, perché in qualche modo, a fronte di un numero crescente di aspiranti, si dovranno individuare procedure condivise per selezionare le persone da destinare sia alle cariche di partito, sia alle candidature nelle assemblee elettive.

Non sono fautore del bipartitismo; sono interessato piuttosto ad un modello politico come quello tedesco, in cui sei partiti ottengono normalmente rappresentanza (i due partiti, CDU e CSU, di ispirazione cristiana; i liberali del FDP; i Grünen, ossia i verdi; i socialdemocratici del SPD; la Linke, cioè la sinistra più radicale). Uno sbarramento nazionale del 4 % non dovrebbe costituire un problema per cinque partiti che oggi sono rappresentati nel Parlamento Nazionale: Partito del Popolo delle Libertà, Partito Democratico, Lega Nord, Unione di Centro, Italia dei Valori. Ciò non significa che l’attuale scenario sia immutabile nel tempo; né impedisce che ulteriori soggetti politici superino lo sbarramento.

Basta fare l’esempio della sinistra cosiddetta radicale. Al momento cinque diverse sigle politiche si collocano in quest’area: Rifondazione comunista; Rifondazione per la sinistra; Comunisti italiani; Sinistra democratica; Verdi. Potenzialmente, insieme potrebbero superare senza problemi una soglia di sbarramento del 4 %. Perché non si presentano alle elezioni in alleanza?

Il vero ostacolo è che i gruppi dirigenti di ogni formazione preferiscono mantenere il predominio su una piccola parte, piuttosto che rischiare di avere ruoli di secondaria importanza in un’aggregazione più grande. Tuttavia, il problema di decidere chi comanda potrebbe essere risolto nel miglior modo possibile, proprio perché nella legge elettorale per il rinnovo del Parlamento Europeo rimarrebbe il potere degli elettori di esprimere preferenze. Di conseguenza, ciascuna formazione che partecipa ad un’eventuale alleanza potrebbe esprimere i propri candidati, considerato che le liste sono comunque ampie, e poi sarebbe il libero voto degli elettori a fare la differenza. Sarebbero gli elettori a decidere chi debba essere investito di funzioni di rappresentanza e, contestualmente, quale sia la linea politica che risulta prevalente in quanto più votata. Lo stesso discorso si potrebbe ripetere con riferimento alle diverse sigle che si collocano nell’area liberale-democratica.

E’ vero che la legge sarà modificata perché questa modifica realizza l’interesse immediato dei gruppi oggi rappresentati nel Parlamento nazionale, i quali vogliono rendere più difficile la competizione per i partiti potenzialmente concorrenti. Ed è anche vero che è un po’ indecente che si approvi una riforma quasi fuori tempo massimo. Tuttavia, chi studia la Storia sa che gli eventi si determinano sempre oltre le intenzioni dei soggetti agenti. Sa che da un apparente male, può nascere bene.

La vera partitocrazia è quella attuale: consolidata da una proliferazione di sigle politiche, che esprimono ciascuna una porzione, più o meno piccola, di ceto politico. Al di là delle chiacchiere che si fanno in campagna elettorale, i dirigenti di quasi tutte le formazioni minori finora hanno avuto una sola preoccupazione: sopravvivere politicamente. Quindi, si sono accontentati di raccogliere le briciole. Nell’accettare questo ruolo di comparse, sono stati un po’ cialtroni, un po’ miserabili, un po’ patetici. Tuttavia, il fatto che tutti, sia pure in proporzioni molto diverse, abbiano tratto beneficio dallo stesso sistema, ha reso la partitocrazia invincibile. Tutti hanno avuto interesse a mantenerla. Se tutti sono corresponsabili, nessuno è responsabile.

Viceversa, con il meccanismo della soglia di sbarramento ci sono degli esclusi reali. Ci sono persone che perdono tutto. Quindi comincia a formarsi, per selezione naturale, un nuovo ceto politico che per affermarsi dovrà cercare di mutare davvero gli equilibri, non soltanto fare finta, come è avvenuto finora. La competizione politica diventa progressivamente sempre più vera ed effettiva e a chi sbaglia potrà succedere di dover pagare davvero, almeno in termini elettorali. Tutti coloro che oggi gridano che la democrazia è stata violata, magari in passato hanno assistito muti, ciechi e sordi, alle più dissennate dilapidazioni di denaro pubblico ed alle più lampanti violazioni della logica dello Stato di Diritto. Ma tutto andava bene finché il loro posticino restava assicurato. Se ora saranno spazzati via, personalmente non ne sarò addolorato. E per ogni cosa che muore, c’è sempre un nuovo inizio.

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